Vivere in grotta
Città e territorio
La grotta è stata per i “Gravinesi” il simbolo del grembo materno; luogo di nascita,
di protezione e di conservazione di tutto persino del corpo decomponibile
Parlare di un “vivere in grotta” significa parlare di una civiltà rupestre, che oscilla tra Preistoria e Storia. Le grotte furono abitate da primitivi, da eremiti, da monaci Basiliani, Benedettini, da Templari, Gerosolomitani, Francescani, che furono in netta prevalenza rispetto a uomini e donne comuni, a classi subalterne e dirigenti. Tutto ciò impone la considerazione positiva di un habitat rupestre, fatto di cultura e civiltà propria, con vicende architettoniche ed iconografiche delle grotte abitazioni e, soprattutto, delle grotte-chiese e di ambienti ad esse connesse.
Gli abitanti delle grotte, stanziatisi per motivi di sicurezza sociale o per ragioni economiche, non furono estranei alle vicende storiche e culturali delle altre comunità, altrimenti non si spiegherebbero le caratteristiche architettoniche e figurativi dei loro ambienti sacri. Essi, infatti, risentono di modelli orientali, bizantini, autoctoni sempre più complessi, ricchi di elementi, rispondenti a nuove esigenze. Tutti gli abitanti delle grotte seppero inserirsi nelle direttrici civili e culturali del loro tempo. Gravina, stazione preistorica, come tante altre della Puglia, partecipò alla crescita socio-culturale col suo territorio costellato da numerose grotte-chiese, alcune scomparse, altre rovinate, altre sconosciute, altre salvate. Queste, infatti, sono testimonianze validissime e preziosissime per la significativa ricostruzione storica dell’habitat rupestre e per il supporto culturale, turistico ed economico di tutta la Puglia.
Tra il IX e il XVI secolo, la Puglia, come il resto dell’Italia meridionale, manifesta una grande vivacità artistica nell’affascinante paesaggio delle “Gravine” con il fenomeno dell’Ingrottarsi. Si attuò su larga scala lo scavo orizzontale del morbido calcare, per creare delle vere e proprie “criptopoli”: era la ripresa di una tendenza naturale; l’uomo di quel tempo sentiva il bisogno di protezione, di ritorno al grembo della madre terra. Sorsero, così, agglomerati fatti di abitazioni, laboratori, chiese, cimiteri, posizionati nelle lame e nelle pendici delle “Gravine”, in prossimità di avvallamenti creati dall’erosione fluviale. Se la grotta fu il tipo di abitazione preistorica, fu anche sede preferita nell’età medievale, per motivi di sicurezza, di ordine più psicologico che reale. Si stava bene in una caverna dotate di tutte le comodità, mentre imperversavano assalti saraceni e attacchi di eserciti conquistatori. Intorno e sopra le grotte si preferì restare per non staccarsi dal luogo natio, per realizzare abitazioni più comode con la stessa materia prima e con le stesse tipologie. Fu la continuazione di una fiducia nei luoghi, che per secoli avevano protetto e perpetuato la stirpe. La grotta è stata per i “Gravinesi” il simbolo del grembo materno; luogo di nascita, di protezione e di conservazione di tutto, persino del corpo decomponibile. Per queste ragioni imprigionarono nelle grotte i loro dei protettori, i loro santi, trasformandole anche in santuari di culti, di meditazioni, d’incontri spirituali e collettivi.
Fonti:
Fedele Raguso e Marisa D'Agostino, Gravina-San Basilio Magno al Piaggio-Habitat rupestre, Chiesa-Beneficio, Tragni Altamura, 1999