U’ MUNACIDDE compie 20 anni
Manifestazioni
La
Domenica di vent’anni fa, una sera di primavera, piazza della Repubblica a
Gravina era, come di consueto, colma di gente di tutte le età, stipata stretta-stretta
come la polpa di un’arancia nella sua buccia.
Bambini che scorrazzavano insolenti
e senza inibizioni in quanto a loro tutto è permesso, matrone imbirloccate che
costringevano gli uomini a fare crocchio interrompendo così la fila dello
struscio, i più giovani appartati in angoli che si erano appositamente
riservati per non avere a che fare con gli adulti incomprensibili e
rompiscatole.
Il cielo aveva preso ad oscurarsi e
i pali dell’illuminazione pubblica ancora non ricevevano l’impulso all’accensione.
All’improvviso, quell’atmosfera di tranquilla normalità fu squarciata da un
urlo inatteso e sparato a tonalità sovrumana. Una parola in dialetto penetrò
con prepotenza nelle orecchie dei paesani: “U’ Munacidde”, destando qualche
apprensione per il richiamo a leggende e sortilegi che erano stati relegati a
fantasie del passato.
Grande meraviglia e immensa
curiosità! Alla luce dei lampioni nel frattempo accesi, un gruppo di giovani
“senza ritegno” metteva in scena – sulla strada – i racconti cantati della
tradizione popolare, annullando la distanza tra il palco e il pubblico.
La musica popolare risiede nel cuore
della folla. Quella voce era di Loredana Savino, che ha conferito all’attività
concertistica del gruppo un livello di qualità riconosciuto e apprezzato da
moltissimi estimatori. La voce maschile, Sandro Varvara, ha aggiunto forza e
colore a tutto il repertorio, avvicinando gli spettacoli alle caratteristiche
di una vera e propria rappresentazione teatrale.
L’organico è andato via via
crescendo. Nella realizzazione del primo CD furono coinvolti nove elementi: le
due voci già citate, 2 fisarmoniche, 2 chitarre e 1 basso acustico, 1 violino e
1 percussionista. Alcuni di questi strumentisti sono rimasti fedeli alla
formazione, come Renzo Cicolecchia bravissimo violinista e organizzatore dei
concerti, Saverio Paternoster chitarrista e autore appassionato di molti canti
popolari, Michele Marrulli che con i tamburi e le altre percussioni ha fornito
il ritmo alle performance del gruppo. Altri si sono avvicendati, tutti molto
preparati e virtuosi dello strumento; tra di essi va fatto un cenno ai bravi
fisarmonicisti di Gravina e, l’ultimo, di Santeramo (Pasquale Barberio) che si
sono alternati nel tempo accompagnando le canzoni con l’armonia tipica della
musica popolare.
I testi sono vere e proprie storie, a
volte allegre a volte drammatiche, quasi tutte anonime e frutto della
tradizione orale. Sono stati trascritti e tradotti in lingua dal prof. Tobia
Granieri.
Il 25 aprile, giorno della
Liberazione, “U’ Munacidde” festeggia vent’anni di carriera, probabilmente con
la registrazione di brani inediti. E ’un segnale di ripartenza incoraggiante,
che potrebbe coincidere con una fase di riattivazione degli spettacoli dopo le
restrizioni imposte dalla pandemia.
Nel terzo millennio la musica
popolare gravinese fa un salto di qualità, grazie a una nuova impostazione
progettuale: il gruppo affina la ricerca
delle fonti della tradizione orale, arricchisce l’organico nel numero e nella
varietà degli strumentisti, inserisce elementi culturali nuovi nei testi e
negli arrangiamenti delle canzoni, che sarebbe riduttivo definire
contaminazioni tout court, in quanto bisogna riflettere sul fatto che questi
musicisti , a differenza dei loro precursori che erano passati per la “scuola
della vita”(Rosa Balistreri, Maria Carta, Otello Profazio, Matteo Salvatore),
escono dal conservatorio , dispongono di una laurea e hanno seguito corsi di
studio e perfezionamento.
Essi puntano all’allargamento delle
platee e sono assistiti da un’organizzazione più strutturata, che riesce a far
inserire il gruppo nelle competizioni e nei festival nazionali e
internazionali, nei quali ottengono premi e riconoscimenti (Roma, Ferrara,
Catania, Taranto, Bari, Lecce, Potenza, Benevento, Udine).
La presenza sulla scena è di forte impatto:rimane,
ad esempio, nella memoria la figura di “Pombette”, personaggio tipico degli
anni quaranta e cinquanta realmente esistito interpretato da Sandro Varvara con
una sottolineatura macchiettistica che ha fatto presa sul pubblico, tanto che
il brano è stato eseguito persino durante le feste di matrimonio.
La contiguità o meglio l’apertura ad
altre forme di spettacolo porterà gli ex musicisti di strada a comporre la
colonna sonora del cortometraggio “Domani non si lavora” in occasione del primo
centenario della CGIL e le musiche di uno spettacolo di danza contemporanea al
Festival di musica universitaria di Belfort in rappresentanza dell’Italia.
Quello spettacolo sarà poi replicato in altre due manifestazioni francesi e a
Parigi.
Allora, suona strana la definizione
di musica popolare riportata nell’enciclopedia Treccani:” la musica popolare è
l’insieme delle diverse tradizioni musicali che non rientrano nell’ambito della
musica colta europea”. E’ come dire che i nostri canti soffrono il pregiudizio
dell’assenza di cultura. Certo,
essi non sono annoverabili fra le composizioni di musica classica, ma proviamo
a smentire quel pregiudizio.
Bela Bartok, musicista ungherese
autore delle suggestive “Danze rumene”, dopo aver scoperto le musiche contadine
dei magiari, cominciò a includere canzoni popolari nelle proprie composizioni e
a scrivere pezzi originali con caratteristiche simili, utilizzando spesso
figure ritmiche di matrice folklorica e un accentuato percussionismo. Si spinse
fino in Africa per studiare la musica popolare araba.
Roberto De Simone, compositore ed
etnomusicologo napoletano, ha avviato, insieme ad Eugenio Bennato, la Nuova
Compagnia di Canto Popolare, esplosa negli anni settanta con “Tammuriata Nera”
e con la partecipazione alla rappresentazione teatrale della “Gatta
Cenerentola”. Anche in questo caso De Simone ha recuperato e riproposto il
patrimonio musicale, teatrale e culturale della tradizione popolare napoletana
attraverso un lavoro fatto con indagini approfondite.
Giovanna Marini è una cantautrice e
ricercatrice etnomusicale e folkloristica italiana. E’ una delle figure più
importanti nello studio, nella ricerca e nell’esecuzione della tradizione
musicale popolare.
Anche il lavoro del nostro gruppo è
il risultato di una ricerca svolta sui canti e sulla musica della Murgia. Il
lavoro ha riportato alla luce molte canzoni dimenticate. I testi svelano
abitudini, vizi, furbizie, disagi sociali, feste, tarantelle, confusioni e
imbrogli del consorzio umano dell’Alta Murgia dove succede che il cafone riesce
a far fortuna in America mentre l’artigiano “rosica”.
In molti casi si tratta di
favole/poesie/stornelli/filastrocche in dialetto che si concentrano a ben
guardare sul sentimento dell’amore che fa da sfondo e determina l’atteggiamento
umano di fronte alle situazioni della vita. La vita della gente comune, nella
società rurale murgiana – dove è forte la memoria dell’abbrutimento indotto
dalla fatica quotidiana e spesso dalla carenza di beni primari – è vissuta con
il miraggio di giungere al coronamento di un sogno d’amore, di un matrimonio
con la persona amata senza assecondare imposizioni genitoriali o discorsi di
convenienza economica. Questo è il fine da raggiungere ad ogni costo e, se
fosse necessario, con il ricorso agli espedienti della magia.
“Cundecelle” (giovane conte) è il
primo amore di una ragazza cui la madre vuole rifilare un ricco marchese,
proprietario di castelli vicino al mare. Ma la figlia, costretta a sposarlo, lo
addormenta con un bacio la prima notte di nozze per correre tra le braccia del
vero innamorato.
“La rezzetedde” (la ricciolina) ha
conservato una pesca zuccherata che vuol portare al proprio innamorato che sta
per morire. Bussa al suo “portone d’argento”, percorre la “scala lucente come
brillanti” e lui ne avverte il respiro oltre la porta. Non può accettare la
pesca zuccherata in quanto la sua anima è trapassata, ma la sola sua voce lo ha
salvato.
Un ruolo importante nel repertorio
del gruppo gioca il doppio senso, che è una caratteristica delle canzoni
contadine.
Il fidanzato regala alla sua ragazza
un cardellino “L’acidde”. E lei non sta nei suoi panni per la gioia: “ièrebedde
fatte e chèpe russe”, mentre ascolta i consigli della mamma che, per
esperienza, le raccomanda di non lasciarselo scappare come è successo a lei che
ne ha persi tanti.Nella disputa tra marito e moglie su chi deve comandare in
casa, lui minaccia di fare ricorso a una non ben definita “tromba cu cu”.
Alla fine, dato che negli ultimi anni
“U’ Munacidde” è stato assente dalle scene, bisogna riflettere sul perché le
attività musicali e artistiche in senso generale debbano correre il rischio
della cessazione o della sospensione.
A un certo punto i ragazzi diventano
adulti e “mettono la testa a posto”, vale a dire danno una sistemata alla
questione del bilancio famigliare, cercando un’occupazione sicura e ”a tempo
indeterminato“ e abbandonando le esperienze giovanili in campo musicale.
Succede essenzialmente – e nella pandemia in corso ne sanno qualcosa i
lavoratori dello spettacolo –a causa della mancanza o dell’insufficienza del
sostegno pubblico non solo di tipo economico.
E’ rilevante infatti il deficit di
attenzione e sensibilità verso l’attività musicale, ritenuta un sovrappiù nelle
occorrenze sociali.
Per l’amministrazione pubblica
locale la musica popolare di tradizione, come ho già detto in altre occasioni,
non è un bene della comunità da tutelare; il popolo al quale è dedicata l’ampia
materia del folklore non ne pretende poi, a ben vedere, la conservazione e il
rispetto.
Dobbiamo contrastare il rischio di
annientamento del patrimonio culturale delle nostre città, con ogni mezzo,
intervenendo con iniziative, eventi e dibattiti a tema.
Un Festival di Musica Popolare
dell’Alta Murgia potrebbe, ad esempio, richiamare alla ribalta i vari gruppi
musicali del genere presenti nel territorio.
E’ quello che ci auguriamo nel
partecipare con ammirazione e riconoscenza alla festa dei vent’anni d’ “U’
Munacidde”.
Giuseppe Marrulli