Quell'invito del Risorto a superare le barriere
Politica e cultura
Duccio di Buoninsegna: L’Apparizione di Cristo agli apostoli a porte
chiuse, Siena
I discepoli erano chiusi in casa per paura. Casa di buio e di paura,
mentre fuori è primavera: e venne Gesù a porte chiuse. In mezzo ai suoi, come
apertura, schema di aperture continue, passatore di chiusure e di frontiere,
pellegrino dell'eternità.
Come amo le porte aperte di Dio, brecce nei muri, buchi nella rete (F.
Fiorillo), profezia di un mondo in rivolta per fame di umanità. Venne Gesù e
stette in mezzo a loro. Nel centro della loro paura, in mezzo a loro, non sopra
di loro, non in alto, non davanti, ma al centro, perché tutti sono importanti
allo stesso modo. Lui sta al centro della comunità, nell'incontro, nel legame:
"lo Spirito del Signore non abita nell'io, non nel tu, egli abita tra l'io
e il tu" (M. Buber). In mezzo a loro, senza gesti clamorosi, solo esserci:
presenza è l'altro nome dell'amore. Non accusa, non rimprovera, non abbandona,
"sta in mezzo", forza di coesione degli atomi e del mondo. Pace a
voi, annuncia, come una carezza sulle vostre paure, sui vostri sensi di colpa,
sui sogni non raggiunti, sulla tristezza che scolora i giorni.
Gli avvenimenti di Pasqua, non sono semplici "apparizioni del
Risorto", sono degli incontri, con tutto lo splendore, l'umiltà, la
potenza generativa dell'incontro. Otto giorni dopo Gesù è ancora lì: li aveva
inviati per le strade, e li ritrova ancora chiusi in quella stessa stanza. E
invece di alzare la voce o di lanciare ultimatum, invece di ritirarsi per
l'imperfezione di quelle vite, Gesù incontra, accompagna, con l'arte
dell'accompagnamento, la fede nascente dei suoi. Guarda, tocca, metti il
dito... La Risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato
le labbra delle ferite. Perché la morte di croce non è un semplice incidente di
percorso da dimenticare: quelle ferite sono la gloria di Dio, il punto più alto
che il suo amore folle ha raggiunto, e per questo resteranno eternamente
aperte.
Ai discepoli ha fatto vedere le sue ferite, tutta la sua umanità. E
dentro c'era tutta la sua divinità. Metti qui la tua mano: qualche volta mi
perdo a immaginare che forse un giorno anch'io sentirò le stesse parole,
anch'io potrò mettere, tremando, facendomi condurre, cieco di lacrime, mettere
la mia mano nel cuore di Dio. E sentirmi amato.
Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! L'ultima beatitudine
è per noi, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi non vede e
inciampa, per chi ricomincia. Così termina il Vangelo, così inizia il nostro
discepolato: con una beatitudine, con il profumo della gioia, col rischio della
felicità, con una promessa di vita capace di attraversare tutto il dolore del
mondo, e i deserti sanguinosi della storia.
Ermes Ronchi, novena.it