Più che pulite Dio chiede mani colme di vendemmia
Politica e cultura
Icona russa “La vera vite”
Gesù ci comunica Dio attraverso lo specchio delle creature
più semplici: Cristo vite, io tralcio, io e lui la stessa pianta, stessa vita,
unica radice, una sola linfa.
E poi la meravigliosa metafora del Dio contadino, un
vignaiolo profumato di sole e di terra, che si prende cura di me e adopera
tutta la sua intelligenza perché io porti molto frutto; che non impugna lo
scettro dall'alto del trono ma la vanga e guarda il mondo piegato su di me, ad
altezza di gemma, di tralcio, di grappolo, con occhi belli di speranza.
Fra tutti i campi, la vigna era il campo preferito di mio
padre, quello in cui investiva più tempo e passione, perfino poesia. E credo
sia così per tutti i contadini. Narrare di vigne è allora svelare un amore di
preferenza da parte del nostro Dio contadino. Tu, io, noi siamo il campo
preferito di Dio. La metafora della vite cresce verso un vertice già anticipato
nelle parole: io sono la vite, voi i tralci (v.5). Siamo davanti ad una
affermazione inedita, mai udita prima nelle Scritture: le creature (i tralci)
sono parte del Creatore (la vite). Cosa è venuto a portare Gesù nel mondo?
Forse una morale più nobile oppure il perdono dei peccati? Troppo poco; è
venuto a portare molto di più, a portare se stesso, la sua vita in noi, il
cromosoma divino dentro il nostro DNA. Il grande vasaio che plasmava Adamo con
la polvere del suolo si è fatto argilla di questo suolo, linfa di questo
grappolo.
E se il tralcio per vivere deve rimanere innestato alla
vite, succede che anche la vite vive dei propri tralci, senza di essi non c'è
frutto, né scopo, né storia. Senza i suoi figli, Dio sarebbe padre di nessuno.
La metafora del lavoro attorno alla vite ha il suo senso
ultimo nel “portare frutto”. Il filo d'oro che attraversa e cuce insieme tutto
il brano, la parola ripetuta sei volte e che illumina tutte le altre parole di
Gesù è “frutto”: in questo è glorificato il Padre mio che portiate molto
frutto. Il peso dell'immagine contadina del Vangelo approda alle mani colme
della vendemmia, molto più che non alle mani pulite, magari, ma vuote, di chi
non si è voluto sporcare con la materia incandescente e macchiante della vita.
La morale evangelica consiste nella fecondità e non
nell'osservanza di norme, porta con sé liete canzoni di vendemmia. Al tramonto
della vita terrena, la domanda ultima, a dire la verità ultima dell'esistenza,
non riguarderà comandamenti o divieti, sacrifici e rinunce, ma punterà tutta la
sua luce dolcissima sul frutto: dopo che tu sei passato nel mondo, nella
famiglia, nel lavoro, nella chiesa, dalla tua vite sono maturati grappoli di
bontà o una vendemmia di lacrime? Dietro di te è rimasta più vita o meno vita?
Ermes Ronchi novena.it