Ogni piazza ha la sua storia: “citte citte mmènz’a la chiazze"
Città e territorio
Una torre, una cattedrale, una piazza e le mura: sicurezza e tanta povertà.
Ogni piazza ha la sua storia: "citte citte mmènz'a la chiazze"
Se la lingua è specchio e espressione di una cultura e, quindi, veicolo di valori tipici del popolo che parla, è assurdo progettare sistemi linguistici artificiali da adottare a livello internazionale. È ancora più assurdo se questa lingua 'in vitro' viene proclamata in nome del proletariato, affermando che le lingue internazionali odierne, l'inglese o il francese ad esempio, tendono a sottomettere il proletariato in nome di una lingua sovranazionale.
Alcuni sostengono che l'antico proverbio dialettale, frutto della saggezza dei nostri avi, per mezzo del quale si condensava la cultura, soprattutto orale, affinché fosse trasmessa alle generazioni successive, sia diventato, per l'imposizione della lingua dei 'mass-media', uno 'slogan' e quindi una merce; ma non possiamo negare che proverbi e frasi idiomatiche siano rimasti una caratteristica peculiare di una lingua. Infatti colui che appartiene ad un gruppo etnico e ne usa la lingua si serve continuamente, nel suo modo di esprimere i dati della realtà circostante, di forme linguistiche dialettali o che derivano da costrutti dialettali.
È perfettamente normale sentire ad esempio che due pugliesi stabiliscano di ritrovarsi per un affare "mménz'a la chiazze" (in piazza) in quanto per loro esiste una relazione reale tra il termine 'piazza' e la realtà che li circonda. Se poi esaminiamo il detto: "citte citte 'mménz'a la chiazze" (sottovoce in piazza), abbiamo modo di appurare un po' di storia: la 'piazza' della Cattedrale era la più importante dei paesi pugliesi, quando esistevano solo le strutture entro le mura.
Vi si recavano pure i braccianti agricoli per poter essere ingaggiati per un lavoro breve o stagionale. Successivamente la 'chiazze' diventò una piazza più moderna al di fuori delle mura (mménz'a la porte). I braccianti si recavano in questa piazza "a premétte" (a fare promessa di re carsi al lavoro) e di qui il 'parlare sotto voce' (citte citte) dei contadini e dei caporali, che diventava, poi, un grande vociare, per cui tutti i gruppi si potevano ascoltare tra di loro e non c'erano più segreti. Oggi, infatti, la frase viene comunemente proferita da chi vuol mettere in risalto il carattere superficiale di una persona, e cioè di colui che non sa tenersi segreti o confidenze oppure paradossalmente in senso scherzoso, dal momento che una cosa in piazza non la si può dire in silenzio. Di qui a spiegare che citte è di origine spagnola (chito) il passo è breve; la presenza di un ispanismo, infatti, ci apre un'altra pagina di storia, la presenza degli spagnoli in Puglia, che conferma come la lingua, non meno delle opere più 'visibili', sta a testimoniare l'influenza delle dominazioni dei tempi passa e che noi oggi, quando parliamo, non facciamo che 'comunicare cultura'.
Giovanni e Franco Minardi, "La cultura pugliese attraverso il dialetto e le immagini", Bari 1985