Lo sposalizio a Gravina in Puglia
Città e territorio
Il rito nuziale d'altri tempi ha indotto molti studiosi a scrivere libri interi e nessun articolo può definirsi esaustivo sull'antica tradizione della festa nuziale nei paesi del Sud. In quei tempi Il padre della sposa, orgoglioso ed emozionato accompagnava sotto il braccio la propria figlia in chiesa. E lungo il percorso il vicinato ostentava affetto e simpatia per il lieto evento. Si formava un vero e proprio corteo, una processione. E ai lati si applaudiva e si lanciavano confetti, "can'lein e caramell". E alcuni petali di rose. Dopo la messa la festa continuava nelle "sale", che venivano fittate per l'occasione. Tra gli anziani si ricordano alcune sale storiche di Gravina: "U v'glioun d' Marcell" in via Vincenzo Ragni e "U v'glioun d' Moramark" in via Antonio Punzi. Non tutti potevano permettersi la sala. In tanti, dopo la messa, tornavano a casa per "festeggiare" tra pochi intimi. Per i benestanti la festa continuava nei lussuosi palazzi padronali o negli ampi saloni a primo piano appositamente addobbati. In passato non c'erano lussuosi banchetti. Erano gli anni del dopoguerra e a Gravina c'era la povertà. Ma c'era tanta dignità nei comportamenti e nelle scelte di vita. La cosiddetta "pasticceria" veniva preparata in casa. Per lo più secca. Alcune famiglie ordinavano al bar, al "Bar Natalino", nel chioschetto della villa comunale, "sospiri" e "fazz'l'tein". E nelle famiglie contadine, in abbondanza, "sasaneddr, p'ccilatidd" preparati in casa. Il vino era quello di cantina, prodotto dallo sposo o da qualche parente. Non mancava mai la musica: fisarmonica, chitarra e mandolino allietavano gli invitati con balli, tarantelle e quadriglie. Gli sposi sempre al centro della festa. Erano i veri protagonisti dell'evento, con quei coriandoli colorati addosso che incantavano i presenti: "l' f'ttucc". Anche il compare di fede ricopriva un ruolo rilevante nel rito nuziale di una volta. Gli invitati ai matrimoni erano pochi, tutti i parenti, i "compari" di battesimo e cresima e qualche vecchio amico d'infanzia. Spesso si "intrufolavano" alcuni vicini di casa, ma sempre ben accolti perché il vicinato rappresentava la solidarietà delle famiglie nelle difficoltà quotidiane. In quei tempi di scarsa crescita economica non c'era l'usanza delle bomboniere. Quasi a chiusura del rito nuziale c'era l'usanza di omaggiare gli intervenuti alla festa: gli sposi passavano tra gli invitati con il vassoio "buono" di famiglia, sul quale venivano messi i confetti e con un cucchiaio ne dispensavano un certo numero agli astanti. Un momento così importante di forti emozioni. Il fotografo era la vera novità dell'evento con quella macchinetta "a fuoco", poggiata sul treppiede. E quelle prime macchine fotografiche con i "rullini" da sostituire di frequente. Era bello vedere quel flash che immortalava i momenti più significativi della festa. Tutte immagini fotografiche da conservare e custodire gelosamente, nei cassettini del comò. In camera da letto. Gli abiti degli sposi non erano molto diversi da quelli di oggi. Si doveva notare soprattutto l'abito bianco della sposa. Il corredo rappresentava lo status sociale degli sposi. "Si contavano i capi", si sceglievano le lenzuola e la biancheria per arredare la camera da letto. Venivano custodite tra le "palline" di naftalina. "Panna sett o panna iott", facevano sicuramente la differenza sull'abbondanza della biancheria della sposa a Gravina. Ma spesso anche dello sposo. Chi aveva in casa una persona esperta con i ferri e l'uncinetto per il ricamo, aveva in parte risolto il problema. Molti invece si indebitavano per tutta la vita per assicurare agli sposi una adeguata "provvista" di biancheria. Più tardi, negli anni '60, cominciò un'altra "tradizione", quella di acquistare il corredo dai cosiddetti commessi. E proprio in quegli anni cominciò a prendere piede tra le famiglie degli sposi il consumismo sfrenato sulle spese per il matrimonio.
Michele Gismundo