Le cose di Dio se gli siamo molto vicini pesano di più
Politica e cultura
Ingresso di Cristo a Gerusalemme, Pittura di Anthony van Dyck, Istituto d'Arte di Indianapolis
La domenica delle Palme ci immerge in uno dei momenti più festosi della vita di Gesù: un fiume di sorrisi, dal monte degli ulivi al tempio. E attorno era primavera, allegra e potente, come adesso. Non ho più dimenticato un dialogo di molti anni fa con un monaco trappista dell’abbazia di Orval, in Belgio. Davo una mano nella “brasserie”, cercando di rendermi utile, quando mi venne da chiedergli: «Padre, ma lei non si è mai stancato di Dio? Di pregare, di pensare a lui, di dargli tutto il tempo? Quando ci si stanca di Dio, cosa dobbiamo fare?».
Mi aspettavo che dicesse: ma come si fa a stancarsi di Dio? Vuol dire che siamo credenti da poco... Invece mi guardò con i suoi occhi profondi, e mi raccontò di una omelia di san Bernardo ai suoi monaci: «nel giorno delle Palme, nel corteo che accompagna il Maestro e i discepoli giù dal monte degli ulivi, c’è chi canta, chi applaude, chi fa ala e stende i mantelli, chi agita rami di palma: un giardino che cammina. Chi più vicino a Gesù, chi più lontano. Ma tutti contenti. C’è però un personaggio che fa più fatica di tutti, anche se è forte, anche se è il più vicino, ed è l’asina con il suo puledro (Matteo 21,2), su cui hanno steso i mantelli, su cui è salito Gesù. Chi sente tutto il peso di quell’uomo da portare su per l’erta che sale dal torrente Cedron verso il tempio e si stanca, è l’asina.
È la più vicina a Gesù eppure quella che fa più fatica. Così anche noi» continuò «quando facciamo fatica, quando sentiamo il peso delle cose di Dio, forse questo accade perché siamo molto vicini al Signore, stiamo portando lui e insieme il peso del cielo sopra di noi, con le sue nuvole scure da spingere più in là. L’importante è continuare: poco dopo c’è Gerusalemme».
La Settimana santa porta con sé i giorni supremi della storia, la Sua vita e la nostra un fiume solo, i giorni della “vendetta” di Dio: quando Dio si vendica di tutta la lontananza, di tutta la separazione, di tutta l’indifferenza, inventando la croce che solleva la terra, che abbassa il cielo, che raccoglie gli orizzonti, crocevia di tutte le nostre strade disperse. La croce è l’abisso dove Dio diviene l’amante. Lassù, le braccia di Gesù, inchiodate e distese in un abbraccio irrevocabile, mai più revocato, sono le porte dell’eden spalancate per sempre, sono dilatazione del cuore fino a lacerarsi, ancor prima del colpo di lancia. Nuova genesi dell’uomo in Dio: l’amato nasce sempre dalla ferita del cuore di chi lo ama. L’uomo nasce dal cuore lacerato del suo creatore. Rivelazione ultima che Dio e la vita sono sempre dono di sé, e non sarai mai abbandonato. Allora nella croce di Gesù risplende davvero la gloria della vita.
Ermes Ronchi avvenire.it