La tomba vuota segno di ripartenza per ognuno
Politica e cultura
Anastasìa - Chesa copta di Milano
Il primo giorno della settimana, al mattino presto
[le donne] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano
preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate,
non trovarono il corpo del Signore Gesù.
Pasqua ci viene incontro con un intrecciarsi
armonioso di segni cosmici: primavera, plenilunio, primo giorno della
settimana, prima ora del giorno. Una cornice di inizi, di cominciamenti: inizia
una settimana nuova (biblica unità di misura del tempo), inizia il giorno, il
sole è nuovo, la luce è nuova.
Il primo giorno, al mattino presto, esse si
recarono al sepolcro. Luca si è dimenticato il soggetto, ma non occorre che ci
dica chi sono, lo sanno tutti che sono loro, le donne, le stesse che il venerdì
non sono arretrate di un millimetro dal piccolo perimetro attorno alla croce.
Quelle cui si è fermato il cuore quando hanno udito fermarsi il battito del
cuore di Dio. Quelle che nel grande sabato, cerniera temporale tra il venerdì
della fine e la prima domenica della storia, cucitura tra la morte e il parto
della vita, hanno preparato oli aromatici per contrastare, come possono, la
morte, per toccare e accarezzare ancora le piaghe del crocifisso.
Le donne di Luca sono una trinità al femminile (R.
Virgili): vanno a portare al Signore la loro presenza e la loro cura. Presenza:
l'altro nome dell'amore. Davanti alla tomba vuota, davanti al corpo assente, è
necessaria una nuova annunciazione, angeli vestiti di lampi: perché cercate tra
i morti colui che è vivo? Non è qui. È risorto. Una cascata di bellezza. Il
nome prima di tutto: "il Vivente", non semplicemente uno fra gli
altri viventi, ma Colui che è la pienezza dell'azione di vivere. E poi:
"non è qui"! Lui c'è, ma non qui; è vivo e non può stare fra le cose
morte; è dovunque, ma non qui. Il Vangelo è infinito proprio perché non termina
con una conclusione, ma con una ripartenza. Pasqua vuol dire passaggio: abbiamo
un Dio passatore di frontiere, un Dio migratore. Non è festa per residenti o
per stanziali, ma per migratori, per chi inventa sentieri che fanno ripartire e
scollinare oltre il nostro io. Ed esse si ricordarono delle sue parole. Le
donne credono, perché ricordano. Credono senza vedere; per la parola di Gesù,
non per quella degli angeli; ricordano le sue parole perché le amano. In noi
resta vivo solo ciò che ci sta a cuore: vive ciò che è amato, vive a lungo ciò
che è molto amato, vive per sempre ciò che vale più della vita stessa. Anche
per me, credere comincia con l'amore della Parola, di un Uomo.
Quello che occorre è un uomo / un passo sicuro e
tanto salda / la mano che porge, che tutti / possano afferrarla (C. Bettocchi).
Quello che occorre è l'umanità di Dio, che non se ne sta lontano, me entra nel
nostro panico, nel nostro vuoto, visita il sepolcro, ci prende per mano e ci
trascina fuori. E fuori è primavera.
Ecco il cuore di Pasqua: il bene è più profondo del
male.
Ermes Ronchi, novena.it