La Settimana in cui stare vicino alle ferite di Gesù
Politica e cultura
L'Ingresso a Gerusalemme, Giotto, Cappella degli Scrovegni
Padova
L'entrata di Gesù a Gerusalemme non è solo un evento
storico, ma una parabola in azione. Di più: una trappola d'amore perché la
città lo accolga, perché io lo accolga.
Dio corteggia la sua città (fede è la mia risposta al
corteggiamento di Dio): viene come un Re mendicante (il maestro ne ha bisogno,
ma lo rimanderà subito), così povero da non possedere neanche la più povera
bestia da soma. Un Potente umile, che non si impone, si propone; come un disarmato
amante.
Benedetto Colui che viene. È straordinario poter dire: Dio
viene. In questo paese, per queste strade, nella mia casa che sa di pane e di
abbracci, Dio viene ancora, viaggiatore dei millenni e dei cuori. Si avvicina,
è alla porta.
La Settimana Santa dispiega, a uno a uno, i giorni del
nostro destino; ci vengono incontro lentamente, ognuno generoso di segni, di
simboli, di luce. In questa settimana, il ritmo dell'anno liturgico rallenta,
possiamo seguire Gesù giorno per giorno, quasi ora per ora. La cosa più santa
che possiamo fare è stare con lui: «uomini e donne vanno a Dio nella loro
sofferenza, piangono per aiuto, chiedono pane e conforto. Così fan tutti,
tutti. I cristiani invece stanno vicino a Dio nella sua sofferenza»
(Bonhoffer). Stanno vicino a un Dio che sulla croce non è più
"l'onnipotente" dei nostri desideri infantili, il salvagente nei
nostri naufragi, ma è il Tutto-abbracciante, l'Onni-amante cha fa naufragio
nella tempesta perfetta dell'amore per noi.
Sono giorni per stare vicino a Dio nella sua sofferenza: la
passione di Cristo si consuma ancora, in diretta, nelle infinite croci del
mondo, dove noi possiamo stare accanto ai crocifissi della storia, lasciarci
ferire dalle loro ferite, provare dolore per il dolore della terra, di Dio,
dell'uomo, patire e portare conforto.
La croce disorienta, ma se persisto a restarle accanto come
le donne, a guardarla come il centurione, esperto di morte, di certo non capirò
tutto, ma una cosa sì, che lì, in quella morte, è il primo vagito di un mondo
nuovo.
Cosa ha visto il centurione per pronunciare lui, pagano, il
primo compiuto atto di fede cristiano: "era il Figlio di Dio"? Ha
visto un Dio che ama da morire, da morirci. La fede cristiana poggia sulla cosa
più bella del mondo: un atto d'amore perfetto. Ha visto il capovolgimento del
mondo; Dio che dà la vita anche a chi gli dà la morte; il cui potere è servire
anziché asservire; vincere la violenza non con un di più di violenza, ma
prendendola su di sé.
La croce è l'immagine più pura, più alta, più bella che Dio
ha dato di se stesso. Sono i giorni che lo rivelano: "per sapere chi sia
Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce"(K. Rahner).
Ermes Ronchi novena.it