L'ultime cinque sei porte del Chiancone son le topaie delle malefemmine - GRAVINAOGGI

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L'ultime cinque sei porte del Chiancone son le topaie delle malefemmine

Politica e cultura
Gravina in Puglia - Rione Piaggio - Foto di Carlo Centonze

L'ultime, ma proprio l'ultime cinque sei porte del Chiancone son le topaie delle malefemmine. Non che siano loro l'uniche puttane della Gravina dei poveri, sono solo le più sfacciate e quelle che non han trovato miglior buco da occupare.
Di faccia ad esse, a un par di metri non di più, un basso e muscoso muricciolo fa orlo alla grava che ripida lì scoscende.
Non è nelle sue abitudini appoggiarsi la dopomangiata, specialmente quando l'estate va finendo, tanto più che la sera, poi, non fa tardi come l'altre; l'altre son più giovani, più sode, e han più clienti. Quindi Marìètt "la scugnoìt" se ne sta addossata al parapetto, assisa alla "seggejodd", a richiudere i buchi delle calzette. Per camuffarsi, per immiserirsi, per essere quella ch'è diventata, sta tempo ancora.
L'ostinatezza d'un patimento antico, connessa -"ci l'avaj a disce!" - alla vergognosa sua de gradazione, ha scacciato dal petto e dai tratti quella pacatezza, quella delicatezza che rende, se non piacente, gradevole l'aspetto della muliebre maturità. Sa d'essere poco avvenente e piuttosto vecchia per quel pur sudicio mestiere, e s'assilla, s'assilla sul futuro.
Se ne sta dunque imbadata a ficcar punti e a rimpiangersi, quando due mature brutte facce le si fan davanti e, con l'arroganza tutta dei carrettieri: - "Addau stonn le bagasce? "-
Pronta Marietta appunta l'ago, s'alza d'istinto il petto e, pigliando a frascheggiare: -"Jun so j, l'alt stonn a repusè. Mò jè subet angour!"-.
Spera, fortemente spera "la scugnoit', che quegli omaccioni, stante il più trito dei luoghi comuni "Quann u moir stè 'n tembèst, ogni buch jè purt!", possano accontentarsi di lei. Quei quattro luridi soldini, oh, quanto comodo le farebbero! Ma la risataccia d'uno, subito seguita dallo sbuffo-sberleffo sprezzante e rumoroso dell'altro, la precipitano brutalmente nello sgomento più umiliante che una donna abbia mai a conoscere. La dignità è un tesoro prezioso, sacro e universale, un dono di Dio che nessuno, nessuno ha il diritto di calpestare. In un simile momento, il cuore, i nervi, la fisionomia, l'anima, il corpo tutto, fino all'ultima molecola, si rimescola. Sembra che la vita rapidamente se ne diparta tant'è il vuoto e il disgusto che certa umanità procura.
La poverella, sebbene trafitta, si prova a rimbeccar contegnosa:
-"A uadd vècchje, jaddina vècchje!"-
E gli screanzati allontanandosi:
-"Ma ta taremendut o spècchje? Sì chiù chiatt de na tavel de furnoir!"-.
Quei malvagi l'han giudicata con mostruoso, assaporato disdegno, stomachevole a concepirsi; con un'animosità da bestie selvagge e beffarde. Un conto è rispondere "no grazie, non sei il mio tipo!", un conto farsi beffe della dignità d'una persona, foss'anche d'una Taide.
Mariétt rimane lì, impietrita, senza difesa e senza scuse: un'infamia da nascondere con rossore; un essere caduta tanto al di sotto d'ogni sfera di rispetto da non raccogliere manco un briciolo di compassione. Come neve alla calda luce del sole, a poco a poco l'umiliazione si scioglie, e tutt'intatto riappare l'orgoglio.
Scostando le lacrime, con un'ombra supplice nella voce, sussurra: -" . . .pe foim e noun pe vizje!"-
Quindi si rimette a sedere in una condizione passiva.
È cosa naturale che ad un'agitazione violenta subentri un senso di calma apparente: nella mente dell'anziana meretrice prendono a fluire e rifluire confusamente tanti di quei pensieri tristi che la sbattagliano di qua di là come la campana della domenica mattina. A nulla serve oramai cercar soluzioni, immaginare conclusioni, considerare situazioni... con quanta durezza l'ha trattata la vita!
Improvvisamente sembra aver concepito la risoluzione giusta. Con fare lento, a fatica, s'aggrappa alla seggiola, scala il muretto e, urlando: - "Pur la Malaloin joir na puttoin! "- si lancia nel vuoto.
Non è un indumento sudicio che la poverella s'è voluto togliere di dosso, ma la pelle, la pelle s'è voluta strappare, con le proprie mani.
Nessuno l'ha vista cadere, nessuno l'ha udita gridare. Per un po', ma solo per un po', il cagnuolo di "cuma Seppin " smette d'abbaiare, il Piaggio d'agitarsi. . . la tragedia ha sempre una sua nota particolare.
Andrea Riviello, "Piaggio", Matera, 2003



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