Il tempo della noia profonda
Politica e cultura
“Per tutto c’è il suo tempo” recita la Bibbia: “…. un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato”(cfr Qo 3,1) ma c’è anche un tempo, forse il più importante, per restare inattivi, come il terreno lasciato a maggese. Tale è il tempo della “noia profonda”, ci dice Heidegger che, se lasciata parlare, può trasformarsi in una possibilità di vivere infinite possibilità.
di Giusy Nardulli
Molto probabilmente, a voler fare un presuntuoso esercizio di immedesimazione, questo triste tempo, che i più fortunati di noi sono costretti a vivere tra le mura domestiche, sarebbe stato definito da Heidegger: “Il tempo della noia profonda”.
È vero, siamo forse attanagliati molto più dalla paura e dall’angoscia per il rischio a cui ci sentiamo esposti a causa di un invisibile virus che sta piegando la realtà storica odierna e che ha costretto tutti a soffermarsi sul senso difinitezza di cui siamo intessuti profondamente. Ciononostante, la paura e l’angoscia sono sensazioni che portano con sé un carico emotivo non indifferente e che, per tale ragione, non possono che essere provati brevemente ma con forte intensità dal momento che, se si prolungassero nel tempo, l’essere umano si bloccherebbe in una paralisi depressiva. Cosa che non accade, invece, per la noia, altra Stimmung fondamentale dell’essere umano, la quale ha un’intensità emotiva minore e, dunque, può essere provata con costanza nel tempo, soprattutto se si è costretti ad un lockdown totale. Per non parlare del fatto che mai, anche nelle nostre fantasie più sfrenate, avremmo immaginato che “la fine del mondo” si sarebbe presentata a noi in maniera così poco entusiasmante. Nessun alieno pronto a conquistare la Terra, nessuna montagna di fuoco o suono di tromba degli angeli ma solo un silenzio insopportabile che invade le strade e migliaia di esseri umani in pigiama ad annoiarsi sul divano.
Ma, ritornando a noi, cosa significa essere annoiati o vivere la noia?
Indubbiamente, tutti abbiamo fatto esperienza della noia almeno una volta nella vita (probabilmente la domenica pomeriggio) e il ricordo che immediatamente associamo a questo stato d’animo è quello del tempo che si ferma e, non a caso, il termine tedesco usato per designare la noia è quello di Longe-weile che letteralmente significa “tempo lungo”. L’immagine è quella di me seduto nella sala d’attesa del medico o in stazione ad attendere un treno in ritardo mentre cerco di “ammazzare il tempo” guardando il cellulare o sfogliando una rivista. Tutto questo è un’esperienza fin troppo comune e vivida nella memoria di ognuno di noi.
Ma soffermiamoci un attimo sull’espressione“ammazzare il tempo” perché è proprio qui, tra le pieghe del nostro linguaggio, che si dis-vela il senso profondo della noia. Con tale modo di dire, è come se il tempo non assumesse più un carattere astratto ma si materializzasse in qualcosa di pesante e insopportabile, una carcassa o un fardello che portiamo addosso alla stessa maniera di Sisifo. Non si tratta più semplicemente di “perdere tempo” eludendolo ma, in maniera più radicale, abbiamo bisogno di macchiarci di una colpa capitale uccidendo la possibilità stessa della nostra esistenza (un po’ come Edipo che uccide suo padre). Il tempo della noia, infatti, è tempo che grava, ci tiene nella sua stretta immobili e, non a caso, Heidegger definisce la noia un «paralizzante esser-colpiti dal corso esitante del tempo e dal tempo in generale, un esser colpiti che a suo modo ci opprime». (M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica. Mondo – finitezza – solitudine)
Ma in che maniera il tempo esitante e, dunque la noia, ci opprimerebbe?
Secondol’Heidegger del 1929-1930, ciò avviene attraverso l’ Esser-lasciati-vuoti e l’Esser-tenuti-in-sospeso,che sono i due momenti essenziali di questa esperienza che stiamo analizzando.
Quando non siamo annoiati, scriverà Heidegger nel testo che stiamo analizzando, «siamo assorbiti dalla cose, addirittura perduti in esse, spesso persino storditi da esse», mentre, nella noia, viviamo un momento di sospensione, quasi di abbandono nel vuoto ed è, in quel preciso istante, che le cose smettono di interrogarci, di rapirci e perdono il fascino che ci teneva inchiodate ad esse.Cercare un passatempo (leggere la rivista, chattare con gli amici..) altro non è che un modo per tenerci lontani dal vuoto in cui le cose, ormai mute, ci hanno gettato.
Il secondo momento essenziale della noia è quello dell’Esser-tenuti-in-sospeso e che ha sempre a che fare con la dimensione temporale. Ora siamo “sollevati al di fuori del flusso del tempo”, il quale non è più gravante ma sospeso, e ciò che accade è il venir meno di tutte le infinite possibilità. Tutto si ferma, persino la mia volontà di poter fare questo o quello giace immobile sbaraccando lo scenario entusiasmante delle potenzialità umane. É come se il mondo stesso dicesse “no, grazie” alle mie possibilità di godere di esso, cosicché l’annoiato si sente esiliato dal mondo e dalla vita, imprigionato in una dimensione di rifiuto e frustrazione.
Non a caso, il filosofo utilizzerà come metafora del secondo momento della noia il maggese, cioè il terreno incoltivato. Il verbo tedesco brachliegen significa appunto: lasciare a maggese, inattivo. Ed è proprio così che ci sentiamo quando veniamo attraversati da questa tonalità affettiva: siamo un terreno potenzialmente fertile ma lasciato lì, a riposare, ad aspettare un tempo e una stagione migliore.
Tuttavia, è proprio da questa immobilità e sospensione, da questa sorta di “impossibilità delle possibilità” che si manifesta la Possibilità pura, o come la chiama Heidegger “la possibilitazione originaria” del Dasein, la quale ha il fine di schiudere (Ershlossenheit) tutte le possibilità autentiche dell’Essere.
Solo quando riusciremo a liberarci dalle catene del tempo, di questo tempo che bisogna costantemente riempire affinché ci appaia pieno e degno di essere vissuto, solo quando avremo imparato davvero ad annoiarci, allora, come Heidegger stesso afferma, si manifesterà l’esser-ci nudo, libero, spogliato di tutte le proiezioni umane.
In questo senso, credere che la noia sia una sorta di “malattia mortale” è errato. Essa non è disperante ma rivelante (nel senso più prossimo a quello di Aletheia, verità che è disvelamento). Essa, infatti, ci rivela “l’ente nella sua totalità”, ovvero l’insieme delle cose e delle persone sottratte alla loro indifferenze ma viste sotto la nuova luce dell’attimo e dello sguardo aperto (Augen-blick). Solo attraverso la noia veniamo riconsegnati a noi stessi nel modo più autentico possibile, come se la noia fosse una sorta di finestra sull’Essere, una ferita, per rubare la terminologia batailliana, da cui è possibile far entrare la luce.
É necessario che si arresti “la furia del fare”, la quale, sempre più spesso, si traduce nel nostro tempo negli imperativi: “Muoviti! Divertiti!”, come se divertirsi ed essere costantemente attivi e in movimento fosse quasi un dovere, nonché il modo giusto di vivere perché così “si” vive il tempo. É necessario, dunque, che attorno a me si abbatta la “nebbia silenziosa” (altra metafora usata dal filosofo tedesco) della noia profonda e che mi parli rivelandomi quanto insensato sia vivere l’esistenza e il tempo come una quantità da spendere senza mai sapere che, oltre a ciò, esiste un’altra possibilità!