Il flusso della vita divina nelle nostre vene
Politica e cultura
Icona greca del XIII secolo
Prendete, questo è il mio corpo. Nei Vangeli Gesù parla
sempre con verbi poveri, semplici, diretti: prendete, ascoltate, venite,
andate, partite; corpo e sangue. Ignote quelle mezze parole la cui ambiguità
permette ai potenti o ai furbi di consolidare il loro predominio. Gesù è così
radicalmente uomo, anche nel linguaggio, da raggiungere Dio e da comunicarlo attraverso
le radici, attraverso gesti comuni a tutti.
Seguiamo la successione esatta delle parole così come
riportata dal Vangelo di Marco: prendete, questo è il mio corpo...
Al primo posto quel verbo, nitido e preciso come un gesto
concreto, come mani che si aprono e si tendono. Gesù non chiede agli apostoli
di adorare, contemplare, venerare quel pane spezzato, chiede molto di più: “io
voglio essere preso dalle tue mani come dono, stare nella tua bocca come pane,
nell'intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita”.
Qui è il miracolo, il batticuore, lo scopo: prendete. Per diventare ciò che
ricevete.
Quello che sconvolge sta in ciò che accade nel discepolo più
ancora che in ciò che accade nel pane e nel vino: lui vuole che nelle nostre
vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo
coraggio, che ci incamminiamo a vivere l'esistenza umana come l'ha vissuta lui.
Dio in me, il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una
cosa sola, una stessa vocazione: non andarcene da questo mondo senza essere
diventati pezzo di pane buono per la fame e la gioia e la forza di qualcuno.
Dio si è fatto uomo per questo, perché l'uomo si faccia come
Dio. Gesù ha dato ai suoi due comandi semplici, li ha raddoppiati, e in ogni
Eucaristia noi li riascoltiamo: prendete e mangiate, prendete e bevete. A che
serve un Pane, un Dio, chiuso nel tabernacolo, da esporre di tanto in tanto alla
venerazione e all'incenso?
Gesù non è venuto nel mondo per creare nuove liturgie. Ma
figli liberi e amanti. Vivi della sua vita. Chi mangia la mia carne e beve il
mio sangue dimora in me e io in lui.
Corpo e sangue indicano l'intera sua esistenza, la sua
vicenda umana, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno e il foro
dei chiodi, le sue lacrime, le sue passioni, la polvere delle strade, i piedi
intrisi di nardo e poi di sangue, e la casa che si riempie di profumo e parole
che sanno di cielo.
Lui dimora in me e io in lui, le persone, quando
amano, dicono le stesse cose: vieni a vivere nella mia casa, la mia casa è la
tua casa. Dio lo dice a noi. Prima che io dica: “ho fame”, lui ha detto:
“voglio essere con te”. Mi ha cercato, mi attende e si dona. Un Dio così non si
merita: lo si deve solo accogliere e lasciarsi amare.Ermes Ronchi novena.it