Il falegname - "u mest d'asc"
Città e territorio
C'erano falegnami a Gravina che costruivano i traini (mest d'asc d' l'arta gross), e falegnami che costruivano mobili (mest d'asc d' l'arta fein). Un tuffo in un mondo che è svanito, un mondo popolato da mille personaggi, accumunati da un'unica passione quella di consacrare il materiale lavorato ad opera d'arte. La lavorazione del legno è stata una delle prime arti dell'uomo. Anticamente in ogni famiglia vi era un falegname. Nelle sue espressioni più alte, richiedeva notevoli capacità da parte di chi lo esercitava. Tuttavia, non tutti i falegnami facevano le stesse cose con la medesima abilità, ma diversificavano il lavoro secondo la propria competenza e opportunità di lavoro. In passato, chiunque esercitasse questa professione doveva essere in grado di saper fare di tutto, senza l'ausilio di macchine, lavorando solo con pochi attrezzi rudimentali, quali trapani manuali, seghe, pialle, martelli, chiodi, raspe e altri arnesi. Questo antichissimo artigiano riusciva a costruire armadi, letti, comodini, bauli e ogni altro oggetto di legno che gli veniva richiesto. Alcuni falegnami, all'occorrenza, costruivano anche le bare ("u tavout), con il fondo di zinco, se necessario, e in tal caso facendosi aiutare dal calderaio ("u calaroir). I falegnami più bravi eseguivano "lavoretti" eleganti e pieghevoli, con intarsi e intagli, che rendevano il mobile un vero oggetto d'arte destinato, naturalmente, a clienti più facoltosi. I falegnami che adoperando legni pregiati, venivano detti anche ebanisti. Tra questi c'erano dei veri artisti. Nelle botteghe ,"Jnd a la putè", dei falegnami c'erano sempre ragazzi apprendisti, che imparavano il mestiere, aiutavano i maestri a trasportare il materiale, andavano a riempire l'acqua dal fontanino, e rassettavano la bottega alla fine della giornata. Il falegname, sceglieva il tipo di legname in base agli ordini, per i mobili e testate del letto, armadi , comò, comodino (la cul'nnet), cassa panca (la coscj a d'voin), vetrinetta (la crs'talljr), ecc. Spesso ricostruiva porte, vetrine, portoni, finestre e altri oggetti che venivano danneggiati dai bambini che giocavano con la palla, con le pietre o la fionda. Il falegname costruiva anche culle (la noich), girelli, seggiolini e cavallo a dondolo (u cavadduzz). Dopo gli anni '60 il falegname si vide obbligato ad ampliare il suo campo d'intervento, inserendo alcune macchine, necessarie per portare avanti la sua attività e per non correre il rischio di chiudere la bottega. Ogni pezzo di legno racconta una sua storia fatta di tante trasformazioni subite nel corso della lavorazione, eseguita dall'artigiano diventato artista, grazie alla sua abilità creativa e alle sue capacità tecnico-pratiche. La tecnica dell' intarsio, molto affine a quella dello scultore e dell'ebanista era un mestiere senz'altro più nobile. C'erano, una volta, nelle nostre città, botteghe di falegnami, dei veri Maestri. Meglio conosciuti con soprannomi, specializzati nella lavorazione dei legni duri e pregiati come l'ebano e le radici di noce e olivo. Grazie alle loro abilità riuscivano a liberare da una massa senza forma, con un lento lavorio, incisione dopo l'altra, la figura imprigionata. Per i nostri vecchi Maestri il legno aveva un'anima e, prima di iniziare l'intarsio, si mettevano all'ascolto delle diverse voci che, dal materiale ligneo, veniva fuori. Non imponevano mai la loro volontà, ma lasciavano che le mani e l'utensile impugnato seguissero le forme del legno, le linee di crescita. Silenzio, pazienza e, appunto, ascolto. Sono qualità che la vita odierna, nella sua frenesia, disprezza e respinge. Ed è la ragione per cui, in una realtà priva di attenzione e capacità di ascolto, piena solo di una delirante vanità espressiva, gli "artisti" di oggi usano sempre meno il legno, sostituendolo con materiali "moderni", scintillanti, duttili, agevoli da modellare e piegare in forme e disegni, ma senza un'anima.
Michele Gismundo