I piedi di Dio percorrono la strada della storia
Politica e cultura
Gesù: trionfale ingresso a Gerusalemme. Mosaico.
Palazzo dei Normanni. Palermo
Sono i giorni supremi, e il respiro del tempo
profondo cambia ritmo; la liturgia rallenta, prende un altro passo, accompagna
con calma, quasi ora per ora, gli ultimi giorni di Gesù: dall'ingresso in
Gerusalemme, alla corsa di Maddalena nel giardino, quando vede la pietra del
sepolcro vestirsi di angeli.
Per quattro sere di seguito, Gesù lascia il tempio
e i duri conflitti e si rifugia a Betania: nella casa dell'amicizia, nel
cerchio caldo degli amici, Lazzaro Marta Maria, quasi a riprendere il fiato del
coraggio. Ha bisogno di sentirsi non solo il Maestro ma l'Amico. L'amicizia non
è un tema minore del Vangelo. Ci fa passare dall'anonimato della folla a un
volto unico, quello di Maria che prende fra le sue mani i piedi di Gesù, li
tiene vicini a sé, stretti a sé, ben povero tesoro, dove non c'è nulla di
divino, dove Gesù sente la stanchezza di essere uomo.
Carezze di nardo su quei piedi, così lontani dal
cielo, così vicini alla polvere di cui siamo fatti: con polvere del suolo Dio
fece Adamo. Piedi sulle strade di Galilea, piedi che mi hanno camminato sul
cuore, che mi hanno camminato nel profondo, là dove io sono polvere e cenere.
Una carezza sui piedi di Dio. Dio non ha ali, ma piedi per perdersi nelle
strade della storia, per percorrere i miei sentieri.
Nell'ultima sera, Gesù ripeterà i gesti dell'amica,
in ginocchio davanti ai suoi, i loro piedi fra le sue mani. Una donna e Dio si
incontrano negli stessi gesti inventati non dall'umiltà, ma dall'amore. Quando
ama, l'uomo compie gesti divini. Quando ama, Dio compie gesti molto umani. Ama
con cuore di carne.
Poi Gesù si consegna alla morte. Perché? Per essere
con me e come me. Perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è
ciò che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che è in croce. L'amore conosce molti
doveri, ma il primo è di essere insieme con l'amato, è "passione
d'unirsi" (Tommaso d'Aquino).
Dio entra nella morte perché là va ogni suo figlio.
La croce è l'abisso dove Dio diviene l'amante. E ci trascinerà fuori, in alto,
con la sua pasqua.
È qualcosa che mi stordisce: un Dio che mi ha
lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non
gli è bastato, lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo
sguardo.
Poi giro ancora la testa, torno a guardare la croce
e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti amo. Proprio me? Sanguina e
grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti amo.
Entra nella morte e la attraversa, raccogliendoci
tutti dalle lontananze più sperdute, e Dio lo risuscita perché sia chiaro che
un amore così non può andare perduto, e che chi vive come lui ha vissuto ha in
dono la sua vita indistruttibile.
Ermes Ronchi, novena.it