Fondovito: quartiere di "San Michele"
Città e territorio
Fondovito, uno dei quartiere più antichi di Gravina, è situato a sud-ovest del centro storico gravinese. Si costituì tra V e VI secolo dopo Cristo nella lama che mutuò il nome dalla chiesa rupestre dedicata a San Vito, che si trovava nella parte più bassa del complesso rupestre a sud-est della kenyon della "Gravina". Esso, chiuso nella fortificazione naturale ed artificiale si estendeva da sud-est sino al contrafforte della rocca, aveva una fenditura centrale, dove precipitava l'acqua del braccio sinistro della lama e torrente "Casale-Dalonzo"; era servito dalle vie non carrozzabili: Vico San Bartolomeo, Via Dirimpetto all'Appennino, Vico dei Caprini; completavano la viabilità piccoli sentieri, strettoie e scalini di collegamento tra grotte e abitazioni. Era un quartiere soleggiato ed asciutto, ricco di vegetazione naturale e artificiale, che lo abbelliva e lo rendeva poco percorribile in alcuni punti.
Fu popolato dai Silvini del colle Botromagno al tempo delle razzie vandaliche (456-553). Ebbe il suo momento favorevole, perché ogni cavità naturale fu occupata. Le chiese di Santo Stefano, di San Nicola, San Vito, di San Michele, San Marco e quella dell'eremita, dedicata a San Giovanni Battista, furono i luoghi di culto che attirarono e indussero a risiedere uomini nomadi della vallata, e immigrati venuti al seguito dei nuovi conquistatori. La cripta-chiesa di San Michele, forse di origine protocristiana, fu l'epicentro della loro vita religiosa. L'insediamento si ampliò, col tempo, con strade, scalinate, pozzi, magazzini. Le grotte acquistarono volto di case piccole, strette, ma più convenienti al vivere umano.
Era abitato da figuli e pellai. Quest'ultimi fondarono la Confraternita di San Bartolomeo, presso l'omonima chiesa e ospedale, creata per la cura di malati inguaribili e fiduciosi di essere miracolati da San Michele Arcangelo, il cui culto era nella chiesa grotta prospiciente. Quest'ultima divenne il fulcro del primo rione in espansione ed il centro di attrazione di cittadini e pellegrini-turisti che puntualmente l'8 maggio ed il 29 settembre si recavano in pellegrinaggio di preghiera e penitenza per implorare perdono e grazie all'Arcangelo Michele. Le ricorrenze delle apparizioni determinarono un gran movimento di popolo ed una gran festa di quartiere, perché l'Arcangelo era, ed è, il santo protettore di eserciti, principi ed imperatori, ma è stato, sostanzialmente, il custode di contadini, pastori, e la dignità tutelare, nei momenti di calamità naturali, di quella gente misera che abitava i dirupi.
Le abitazioni di questo quartiere, sviluppatosi tra il V e X secolo d. C., erano in grotte naturali ed artificiali, ma anche case edificate con tufi ricavati in loco. La maggior parte dell'abitato era addossato alla rocca della Civita e si estendeva da ovest verso est, salendo dal basso verso l'alto presso la porta Basilicata.
La chiesa di San Giovanni Battista e la successiva realizzazione del monastero degli Agostiniani determinarono uno richiamo di abitanti e, quindi, ampliamenti dei fabbricati esistenti e costruzione di nuovi edifici.
Nel 1861 l'Università di Gravina si dotò del Piano Regolatore Generale e per questo fu deciso il miglioramento del quartiere. Infatti fu coperto il braccio del torrente, si consentirono ampliamenti urbanistici al centro della lama, fu sistemata l'intera viabilità.
Il quartiere ha conosciuto lo spopolamento parziale in seguito alle emigrazioni e alle assegnazioni di case popolari. Oggi si tende, timidamente, a ritornare alle proprie radici, però con una distorta mentalità del recupero del centro storico.
Questo rione, a differenza del Piaggio, risulta più pulito e ben tenuto dai 270 (circa) resdenti che dimorano con piacere, perché lo ritengono un'oasi di pace e luogo protetto da San Michele Arcangelo, che gli antichi abitanti accolsero ed incentivarono il culto, attestato durante la festa dell'8 maggio di ogni anno.
Fedele RAGUSO