Finché c'è compassione il mondo può sperare
Politica e cultura
Beato Angelico. «Il discorso della montagna», affresco
conservato nel Museo di San Marco a Firenze
Venite in disparte e riposatevi un po'. I suoi sono
ritornati felici da quell'invio a due a due, da quella missione in cui li aveva
lanciati, un pellegrinaggio di Parola e di povertà.
I Dodici hanno incontrato tanta gente, l'hanno fatto con
l'arte appresa da Gesù: l'arte della prossimità e della carezza, della
guarigione dai demoni del vivere. Ora è il tempo dell'incontro con se stessi,
di riconnettersi con ciò che accade nel proprio spazio vitale.
C'è un tempo per ogni cosa, dice il sapiente d'Israele, un
tempo per agire e un tempo per interrogarsi sui motivi dell'agire. Un tempo per
andare di casa in casa e un tempo per “fare casa” tra amici e con se stessi.
C'è tanto da fare in Israele, malati, lebbrosi, vedove di Nain, lacrime, eppure
Gesù, invece di buttare i suoi discepoli dentro il vortice del dolore e della
fame, li porta via con sé e insegna loro una sapienza del vivere.
Viviamo oggi in una cultura in cui il reddito che deve
crescere e la produttività che deve sempre aumentare ci hanno convinti che sono
gli impegni a dare valore alla vita. Gesù ci insegna che la vita vale
indipendentemente dai nostri impegni (G. Piccolo).
La gente ha capito, e il flusso inarrestabile delle persone
li raggiunge anche in quel luogo appartato. E Gesù anziché dare la priorità al
suo programma, la dà alle persone. Il motivo è detto in due parole: prova
compassione. Termine di una carica bellissima, infinita, termine che richiama
le viscere, e indica un morso, un crampo, uno spasmo dentro. La prima reazione
di Gesù: prova dolore per il dolore del mondo. E si mise a insegnare molte
cose.
Forse, diremmo noi, c'erano problemi più urgenti per la
folla: guarire, sfamare, liberare; bisogni più immediati che non mettersi a
insegnare. Forse abbiamo dimenticato che c'è una vita profonda in noi che
continuiamo a mortificare, ad affamare, a disidratare. A questa Gesù si
rivolge, come una manciata di luce gettata nel cuore di ciascuno, a illuminare
la via.
Questo Gesù che si mette a disposizione, che non si
risparmia, che lascia dettare agli altri l'agenda, generoso di sentimenti,
consegna qualcosa di grande alla folla: «Si può dare il pane, è vero, ma chi
riceve il pane può non averne bisogno estremo. Invece di un gesto d'affetto ha
bisogno ogni cuore stanco. E ogni cuore è stanco» (Sorella Maria di Campello).
È il grande insegnamento ai Dodici: imparare uno sguardo che
abbia commozione e tenerezza. Le parole nasceranno. E vale per ognuno di noi:
quando impari la compassione, quando ritrovi la capacità di commuoverti, il
mondo si innesta nella tua anima, e diventiamo un fiume solo. Se ancora c'è chi
sa, tra noi, commuoversi per l'uomo, questo mondo può ancora sperare.
Ermes Ronchi novena.it