Festa di San Michele Piccolo
Città e territorio
La città di Gravina sull’esempio di Monte Sant’Angelo dedica a San Michele due giorni festivi come: 8 maggio, S. Michele piccolo degli abitanti di “Fondovito”; 29 settembre, San Michele grande patrono della città
La festa di “San Michele delle Grotte” è stata ed è riconosciuta come la festa del quartiere “Fondovito”, costituitosi nella “Lama San Vito” nei pressi della spelonca naturale riservata al culto degli Arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele come luogo di approdo del culto, giunto dal monte Gargano.
Da tempi immemorabili i “Fondovitiani” hanno mantenuto vivo il culto dell’Arcangelo Michele, a cui hanno riservato e assicurato ogni anno la festa dell’8 maggio istituita dai Longorbardi, dopo la vittoria sui Bizantini.
La consuetudine rituale della festa la mutuarono da Monte Sant’Angelo dove si recavano in pellegrinaggio sia nel mese di maggio che nel mese di settembre di ogni anno per partecipare alle commemorazioni delle apparizioni di San Michele del 490, 492, 493 e per invocare protezione e grazie. I fervidi devoti di S. Michele e i bisognosi di grazie si recavano in gruppi a piedi in pellegrinaggio sino ai piedi della montagna garganica, dopo proseguivano in ginocchio mortificando ogni parte del corpo come penitenti peccatori che espiavano i tanti peccati commessi durante l’anno.
Non tutti i Fondovitiani e gravinesi erano nelle condizioni di affrontare il faticoso pellegrinaggio di penitenza per cui fu necessario riprodurre in ogni modo l’atmosfera garganica nella lama “San Vito”, per consentire a tutti gli abitanti del quartiere e della città di essere pellegrini alla chiesa grotta dedicata a San Michele.
Dal Gargano importarono i riti sacri da assicurare a San Michele e, soprattutto, particolari reliquie (dette Brandea: nastrini, fazzoletti, indumenti benedetti e consacrati con l’acqua della caverna e con la benedizione del santo), che conservavano gelosamente in casa ed ostentavano in occasione della festa dell’8 maggio con i “ballunǝ - balloni”, particolari addobbi lungo le scalinate del quartiere, a cui appendevano le reliquie garganiche. La festa risultava originale, molto suggestiva e folcloristica, favorita dal particolare paesaggio rupestre del quartiere con lo sfondo della “gravina” e del colle Pietramagna.
Il rito sacro seguiva pedissequamente la tradizione garganica inaugurata da monsignor Lorenzo Maiorano, vescovo sipontino. La mattina si celebrava la messa cantata in cattedrale con il pontificale del vescovo, a cui partecipavano tutti i canoni del Capitolo Cattedrale con cappa magna ed un nutrito numero di devoti di san Michele. Subito dopo si teneva una solenne processione dalla cattedrale sino alla chiesa-grotta. Lungo il percorso di andata, i canonici cantavano l’inno di S. Michele in latino; in chiesa si cantava l’Antifona alle lodi e si recitavano le preghiere del Santo. Quando si ritornava indietro, si cantava il TE DEUM. La processione seguiva un percorso regolare: dalla cattedrale, piazza Benedetto XIII, piazza notar Domenico, calata grotta S. Michele; dalla grotta, calata S. Giovanni, via Marconi, piazza notar Domenico, dove la processione si scomponeva.
Nella grotta-chiesa, dopo la visita del vescovo e del Capitolo, si celebravano messe senza interruzioni, dalla mattina alla sera, perché era costante l’afflusso di devoti pellegrini gravinesi e forestieri.
Oggi, l’antica consuetudine con i tanti riti sacri è completamente cambiata, ridotta all’essenziale.. La tradizionale processione mattutina viene fatta il pomeriggio, dopo i Vespri, con la partecipazione dei confratelli della Confraternita di S. Michele (dal 1925). Infatti, il differimento della processione fu chiestodai confratelli perché, durante la mattina ed il primo pomeriggio, erano impegnati al lavoro.
La festa dell’8 maggio (detta di san Michele piccolo) era vissuta in modo diverso da quella del 29 settembre (detta di San Michele grande, dal 1674). Nei tre giorni di festa (28-29-30) si avvicendavano celebrazioni religiose, sontuosa processione per le vie principali del centro città; manifestazioni civili, luminarie, fuochi pirotecnici, concerti bandistici, fiera degli animali e degli attrezzi agricoli, gare ludiche.
Le due festività, ormai, hanno assunto dimensioni e caratteristiche ben distinte: l’una, prettamente popolare e devozionale; l’altra, festa patronale di tutta la città all’insegna più del consumismo che della ricorrenza religiosa tradizionale. Entrambe, però, testimoniano, con riti e con manifestazioni varie, l’antichità del culto e la sua derivazione garganica.
Interessanti, risultano a questo proposito i documenti relativi alle pratiche devozionali e magiche, alla medicina popolare, alle espressioni spirituali, da cui emerge una Gravina fatta di ricchezza, ma anche di povertà, di calamità e tanto bisognosa di protezioni soprannaturali. È una città cristiana, devota, desiderosa di protezione, che predilesse il culto di S. Michele, più rispondente a sostenere il popolo in tante circostanze negative: carestie negli anni 1591,1594, 1595, 1598, 1606, 1607; particolari crisi economiche e sociali negli anni 1643, 1647, 1651, 1660, 1670; aeromoto nel 1687, peste nel 1656 e 1690; terremoti nel 1456, 1722-23, 1854 quando furono persistenti; temporali, fulmini e nubifragi nel 1727; alluvione nel 1846. L’elenco delle calamità è infinito, considerando le passate remote e quelle prossime, quando l’invocazione a San Michele fu necessaria per implorare la sua protezione e scongiurare pericoli.
Fedele RAGUSO
Foto di: Carlo Centonze