Diventare più umani. Natale del Signore
Politica e cultura
Gerard van Honthorst, Adorazione del Bambino, Galleria degli Uffizi, Firenze
Si fa spazio con discrezione, senza sgomitare, senza urlare. Senza clamore, senza esigere, senza fare chiasso. Non si impone, non cerca rissa, non pretende attenzione, non fa la vittima.
In questo secondo Natale di pandemia, che ci trova svuotati, sgonfi, storditi come un pugile all’angolo del ring, speranzosi e intimoriti.
Fra le luci delle nostre città, i furgoncini in doppia fila che consegnano i tanti regali comprati on-line, fra uno spot televisivo e l’altro. In mezzo a questo clima forzatamente festoso, inutilmente dolciastro, torniamo tutti bambini in attesa del regalo, che spesso ci delude. Dribblando elegantemente le assurde polemiche sui simboli della cristianità che vengono branditi come un’arma identitaria, come un corpo contundente, contraddicendo ciò che simboleggiano: dialogo, apertura all’altro, ospitalità.
Celebrato da una Chiesa in cammino, che si mette in discussione, che osa imparare e cambiare. Nonostante tutto, ancora una volta, arriva Natale. E con lui, ancora, ostinatamente, arriva, Dio. Il nostro Dio. Il mio amatissimo Dio. Non facciamo finta che Gesù nasce: è già nato nella Storia e tornerà nella gloria. Ma qui e ora chiede spazio nel mio cuore.
Non è Natale, è il mio Natale.
È Dio che chiede ancora di nascere, qualunque sia il mio stato d’animo, dopo tanti natali vissuti. Sono io che ancora posso nascere. Dio si è fatto uomo perché impariamo a diventare più uomini.
Che Storia.
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