Bergamo è falcidiata dal covid-19, Gravina ricorda la “Spagnola”
Politica e cultura
In un attimo tutta la città di Gravina fu infettata nel settembre 1918 da un bruttissimo morbo mortale: "la Spagnola”. L’Ufficiale sanitario diramava puntualmente i bollettini sanitari giornalieri sui deceduti a Gravina: “25 settembre 4 decessi, 29 settembre 14 decessi, 30 settembre 22 decessi, 1 ottobre 38 decessi, 4 ottobre 24 decessi, 9 ottobre 18 decessi, 10 ottobre 14 decessi, 12 ottobre 10 decessi, 27 ottobre nessun decesso, 6 novembre nessun decesso”. In quell’anno morirono famiglie intere. I falegnami sospesero la costruzione delle bare perché non potevano soddisfare tutte le esigenze. Il comune prendeva in fitto traini e carrozze che giravano per le vie del paese a prendere i cadaveri, i quali venivano sistemati nel locale cimitero per poi essere trasportati nella zona della Terra Santa. Una infezione che veniva favorita da una grande sporcizia imperante per le strade e nelle case. Così il 13 settembre 1918 in una ordinanza il Prefetto di Bari: … “curare la pulizia delle strade, delle abitazioni e degli utensili domestici, l’igiene della persona, astenersi da cibi indigesti e poco nutrienti, ricorrere subito appena qualche sintomo della malattia si manifesta all’aiuto e consiglio del sanitario, astenersi dal frequentare luoghi chiusi ed affollati, essendo tali locali facile veicolo del morbo. Tutto questo ci è stato raccontato dai nostri nonni. Proprio ieri sera la televisione ci ha mostrato le immagini struggenti dei carri militari mentre trasportavano i morti per coronavirus di Bergamo in luoghi ignoti: tutti morti senza nessuno accanto. Tutta la regione Lombardia è inginocchio: si muore senza l’ultimo saluto,nei reparti ospedalieri degli infettati non si può entrare. Bergamo, una delle più belle ed eleganti città d’Italia, è falcidiata dal Coronavirus: in una settimana 400 morti. Non solo si muore, non si può stare vicino alle persone che stanno lottando per la vita. C’è tanta preoccupazione soprattutto per gli anziani soli: al nord le città sono a tutti gli effetti in guerra. È una corsa contro il tempo, ovunque. È devastante quello che sta avvenendo. Lo dobbiamo sapere. Lo dobbiamo scrivere, proprio come ce lo raccontano i medici e gli infermieri in televisione, dalle sale della terapia intensiva. “Rimanete a casa” è l’appello incessante e in lacrime dei medici e infermieri dagli ospedali di tutta Italia. Occorre una prova di unità e di grande collaborazione. È il momento della responsabilità e, forse, della preoccupazione. Speriamo non vengano predisposte, nelle sale intensive, le “liste della morte”, scegliendo pazienti da salvare.Attenersi alle regole del governo e delle autorità sanitarie può rappresentare, forse, l’unica speranza.
Michele Gismundo