A Cana il volto gioioso del Padre
Politica e cultura
Le Nozze di Cana, Paolo Caliari detto il Veronese, Louvre di
Parigi
Festa un po' strana, quella di Cana di Galilea: lo sposo è
del tutto marginale, la sposa neppure nominata; protagonisti sono due invitati,
e alcuni ragazzi che servono ai tavoli. Il punto che cambia la direzione del
racconto è il vino che viene a mancare.
Il vino nella Bibbia è il simbolo dell'amore. E il banchetto
che è andato in crisi racconta, in metafora, la crisi dell'amore tra Dio e
l'umanità, un rapporto che si va esaurendo stancamente, come il vino nelle
anfore. Occorre qualcosa di nuovo. Vi erano là sei anfore di pietra... Occorre
riempirle d'altro, finirla con la religione dei riti esterni, del lavarsi le
mani come se ne venisse lavato il cuore; occorre vino nuovo: passare dalla religione
dell'esteriorità a quella dell'interiorità, dell'amore che ti fa fare follie,
che fa nascere il canto e la danza, come un vino buono, inatteso, abbondante,
che fa il cuore ubriaco di gioia (Salmo 104,15).
Il Vangelo chiama questo il “principe dei segni”, il
capostipite di tutti: se capiamo Cana, capiamo gran parte del Vangelo.
A Cana è il volto nuovo di Dio che appare: un Dio inatteso,
colto nelle trame festose di un pranzo nuziale; che al tempio preferisce la
casa; che si fa trovare non nel santuario, nel deserto, sul monte, ma a tavola.
E prende parte alla gioia degli uomini, la approva, si allea con loro, con
l'umanissima, fisica, sensibile gioia di vivere; con il nudo, semplice, vero
piacere di amare; che preferisce figli felici a figli obbedienti, come ogni
padre e madre. Il nostro cristianesimo che ha subito un battesimo di tristezza,
a Cana riceve un battesimo di gioia. Maria vive con attenzione ciò che accade
attorno a lei, con quella «attenzione che è già una forma di preghiera» (S.
Weil): «non hanno più vino».
Notiamo le parole precise. Non già: è finito il vino; ma
loro, i due ragazzi, non hanno più vino, sta per spegnersi la loro festa. Prima
le persone. E alla risposta brusca di Gesù, Maria rilancia: qualunque cosa vi
dica, fatela! Sono le sue ultime parole, poi non parlerà più: Fate il suo
Vangelo! Non solo ascoltatelo, ma fatelo, rendetelo gesto e corpo, sangue e
carne.
E si riempiranno le anfore vuote del cuore. E si trasformerà
la vita da vuota a piena, da spenta a fiorita. Il mio Gesù è il rabbi che amava
i banchetti, che soccorre i poveri di pane e i poveri di vino.
Il Dio in cui credo è il Dio di Gesù, quello delle nozze di
Cana; il Dio della festa e del gioioso amore danzante; credo in un Dio felice,
che sta dalla parte del vino migliore, del profumo di nardo prezioso, dalla
parte della gioia: la felicità di questa vita si pesa sul dare e sul ricevere
amore.
Ermes Ronchi, novena.it