“Youth. La giovinezza” di Paolo Sorrentino
Politica e cultura
L’altra sera ho visto questo film, nell’ambito del progetto “Il cinema di strada” dell’Associazione Gravina Città aperta, presso “Hortus Officine Culturali”. Penso che i tanti giovani presenti alla visione del film avrebbero bisogno di un Cineforum alla fine della proiezione, per cogliere il messaggio più autentico e realista che il Regista ha voluto trasmettere ai fruitori della sua pellicola. Paolo Sorrentino, a mio avviso, ha voluto farci vedere proprio come i due anziani protagonisti rincorrano la giovinezza, rivelandosi poco realisti perché hanno vissuto tutta la loro vita ad una sola dimensione: quella immanente, trascurando del tutto quella trascendente.I due ottantenni protagonisti che hanno vissuto la loro vita rincorrendo solo l’effimero successo mondano, alla fine della loro esistenza, delusi, vagheggiano il loro esaltante passato: la giovinezza, appunto. Un’esistenza tutta mondana, agnostica, senza alcuna prospettiva di fede e speranza nell’aldilà, non poteva non concludersi che con il suicidio di uno dei due anziani: il regista difama mondiale in vacanza e in dialogo con il grande compositore musicista, pure di fama mondiale. Il grande regista, è ora sul set con tanti attori con il suo ultimo film dal titolo molto eloquente: “L’ultimo giorno della vita”. La situazione, per il grande regista, precipita quando l’attrice protagonista (Jane Fonda), famosa per il suo curriculum di 50 anni di attività cinematografica, decide di ritirarsi dal set optando per uno sceneggiato televisivo e rivelando la motivazione della sua scelta:“Oggidì le sale cinematografiche sono per lo più disertate e la gente preferisce guardare la TV a casa propria”. Disperato, il grande Regista si reca verso la terrazza e si lascia andare giù con uno schianto.L’altro anziano ha in sé prepotente il ricordo di sua moglie, ora defunta, che cantava le arie delle sue composizioni e non vuole accettare di riproporle al Buckingham Palace di Londra, invitato dalla regina Elisabetta II d’Inghilterra che vorrebbe festeggiare, l’erede al trono suo nipote, con un gran concerto diretto proprio dal nostro anziano musicista -compositore. Alla fine il grande compositore accetterà l’invito guadagnandosi il titolo di “Sir”. Sarà proprio questo concerto a concludere il film.Ho parlato di film “esistenziale” perché anche questa grande arte del cinema mette in evidenza i grandi temi della nostra letteratura del Novecento, dalla poetica di Eugenio Montale (“Il male di vivere”) a quella di Luigi Pirandello, grande pensatore romanziere della letteratura italiana aveva intuito la doppiezza e ambiguità dei comportamenti umani coniando la celeberrima frase: la “mancata, univoca, identità del soggetto” proprio nell’ultimo suo romanzo: “Uno, nessuno, centomila”.Infine da notare la comparsa nel film di un buddista assorto in contemplazione, di cui si dice che ogni tanto “lévita” (= si solleva dal suolo verso l’alto).E alla fine del film il buddista, lévita davvero. Chissà se, il nostro Regista, con tale scena, ripresa con tanto indugio, voglia significare l’alternativa ad una vita immanente, con una trascendente, frutto di un’esistenza terrena vissuta in contemplazione del soprannaturale, del divino.
Pietro Elia