“Macconeccio” scacciare il maligno
Manifestazioni
Rione antico Fondovito , visto dal sito rupestre delle
"Sette camere" in Gravina in Puglia. Ph. Carlo Centonze
I
longobardi importarono nelle comunità italiche tutte le loro consuetudini
profane e religiose. Quest’ultime assunsero vesti cristiane dopo la conversione
al Cristianesimo e, ancor più, dopo l’adozione del culto di San Michele del
Gargano. Ai pii longobardi, infatti, si devono diverse consuetudini, tra cui
quella dell’uso dei “brandea–
reliquie personali”, dei “ballunǝ-ostensori
di reliquie”, dei “macconecci- scaccia maligno”.
Gli
abitanti della “contrada (rione) Fondovito” subirono la sovranità dei signori
Longobardi sin dal IX secolo d. C. che avevano prediletto il sito gravinese e realizzarono
un poderoso castello sulla piana della rocca che sovrastava le lame di “Piaggio”
e “Fondovito”, già antropizzate intensamente (tra III – IV secolo dopo Cristo),
grazie alle tante cavità carsiche naturali esistenti. I Longobardi si guadagnarono subito le simpatie
e collaborazioni degli abitanti indigeni che apprezzarono e gradirono la
costruzione del castello che li proteggeva, sposarono il culto di San
Michele, assecondarono gli interessi particolari
per salvaguardare e incentivare le risorse territoriali.
Gli
abitanti della città rupestre, che prese il nome “Gravina”, costituiva una
comunità agro-pastorale e viveva esclusivamente di prodotti dell’agricoltura e
degli allevamenti, oltre che da attività artigianali e di trasformazione
connesse alle attività primarie.
La
loro alimentazione era assicurata dalle farine di cereali, granturco, e,
persino di ghiande e castagne, con cui realizzavano polenta ed impasti che
cucinavano in acqua bollente, sul fuoco o in forno. Quei prodotti erano la loro
vita, il frutto del loro duro lavoro e dei loro sacrifici.
San
Michele Arcangelo aveva sostituito il culto della dea Cerere, divenendo il
protettore principale dei contadini e delle loro coltivazioni. Preghiere,
novene, processioni di penitenza, riti sacri in suo onore non erano sufficienti
per tenere lontano il nemico (demonio) che si presentava come grandine, gelate,
siccità, incendi. Il maligno si annidava tra e dentro i campi pregni di frutti
da raccogliere. Per cui bisognava cacciarlo con azione umana diretta. Infatti,
nei giorni di vigilia delle ricorrenze festive di San Michele 8 maggio e 29
settembre, all’ora dell’Avemaria della sera,agricoltori, pastori e buona parte della popolazione rurale
si recavano nei campi per cacciare, secondo le loro usanze, le streghe e le
incantatrici. Solevano suonare campane, campanelli, cembali, timpani, tamburi
di rame, ed ogni oggetto rumoroso, urlando a squarciagola come forsennatila
parola “macconneccio”, a “voler dire vai
via maligno e lascia immune la “polenta (macco), i frutti (neccio)”. Con quel
fiero baccano e con quelle voci e sicuri del sostegno di San Michele, speravano
di mettere al sicuro da qualsiasi stregoneria i due cibi che formavano il loro
nutrimento.
Questa
particolare ed antichissima usanza, anche, gravinese si è persa nel corso dei
secoli ma si è tramandata,per via orale,
di anziani agricoltori e pastori. Sopravvive presso alcune comunità
delle Alpi Apuane delle province di Lucca e Massa Carrara.
Fedele
RAGUSO