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Città e Territorio
La calcara (la fornace), forno da calce, "la cal'coir" in dialetto gravinese. E' un forno di origine antica che aveva lo scopo di produrre la calce. Anticamente vi era una calcara in ogni paese, ma a Gravina in Puglia ce n'erano diverse. La calce è un materiale che si usa nelle costruzioni (ma anche per altri usi), conosciuta fin dall'antichità, che si otteneva per cottura a temperatura elevatissima della pietra calcare, una roccia molto diffusa in natura, e a Gravina è di ottima qualità, molto resistente. Quindi la calce prodotta veniva molto richiesta sul mercato dell'edilizia. Un anziano concittadino di oltre ottant'anni, "nu cal'caroul", Peppino Abbattista, ci riferisce: " ….. mio padre Giovanni con i suoi fratelli Bartolomeo, Vincenzo, Donato, Filippo, Salvatore e Angelo, per oltre mezzo secolo, e fino agli anni Sessanta, hanno praticato il mestiere di "cal'caroul". C'erano a Gravina in quegli anni 27 calcare, tutte funzionanti, quasi tutte di proprietà comunale e affidate, con gara pubblica, in comodato ai lavoratori per la produzione della calce. Calce di ottima qualità la nostra, perché proveniente da pietre rocciose resistenti (da scavare ed estrarre dalle cave, "u p'troil). Infatti la pietra di Gravina aveva bisogno di una cottura che andava dai 12 ai 13 giorni, con fuoco vivace e costante. Mentre la pietra di Molfetta, ad esempio, più dolce, aveva bisogno di una cottura di appena 6 o 7 giorni. Per produrre mille quintali di calce occorrevano quasi 900 quintali di paglia da ardere. Si preferiva incrementare la produzione della calce nel periodo estivo, con paglia asciutta, produttrice di calore. Alcuni ruderi di forni a calce a Gravina sono ancora in bella vista a ridosso dell'edificio scolastico "Fratelli Cervi" oppure sulla via per Dolcecanto. Particolarmente delicata ed importante era la fase della preparazione del forno da calce. Prima di accatastare le pietre rocciose si realizzava una camera di combustione, a forma di botte, parzialmente scavata nel terreno e rivestita a secco di altro pietrame. Una piccola porticina aveva lo scopo di far entrare aria ossigenata nella camera di combustione, nonché l'accensione e l'alimentazione del fuoco. Doveva essere un fuoco molto allegro e costante, bruciando paglia e, a volte, scarti della produzione di legname. La temperatura raggiungeva 800 - 1200 gradi e l'operazione di mantenimento del fuoco era seguita da almeno sei addetti, fuoco sorvegliato da una persona di grande esperienza: il fornaciaio da calce. Per controllare lo stato di cottura si prendeva uno dei sassi e lo si buttava nell'acqua fredda e si verificava la tumultuosa reazione. Oppure si tentava di forare un sasso utilizzando un apposito punteruolo di ferro, se riusciva a penetrarlo la calce era pronta. Seguiva il lavoro di estrazione dal forno della calce prodotta, un lavoro delicatissimo e pericolosissimo. Ecco trasformati i sassi in bianca calce, detta calce viva, che veniva gettata in una apposita fossa scavata nel terreno ed irrorata d'acqua per provocare una reazione chimica. Al termine si aveva la calce morta detta anche calce spenta ed era pronta per la commercializzazione e l'utilizzo". Questo antico mestiere venne declassato con l'avvento della calce idrata. La calce idrata in polvere rappresenta l'espressione moderna e industriale della calce, nasce in concomitanza all'avvento dei leganti cementizi, come esigenza di commercializzare leganti secchi da vendersi in sacco in analogia con cemento. La calce idrata in polvere è reperibile in sacchi ed è apprezzata quasi esclusivamente per la comodità di confezionamento. E negli anni del boom economico intere famiglie di cal'caroul qui a Gravina emigrarono in Germania e nell'Italia Settentrionale. Quindi è la tecnologia che sostituisce la produzione della calce nei forni delle calcare. E quindi, un mestiere antico, u cal'caroul, svolto con passione, venne abbandonato, perché non più redditizio. Ipotizzare il ripristino ed il riutilizzo di qualche calcara per la produzione di calce con metodi completamente tradizionali non è possibile, commenta il nostro intervistato Peppino Abbattista. E aggiunge: " Non si può tornare indietro. Dobbiamo fidarci della calce idrata, è ottima, come quella che facevo io da giovane a la cal'coir".
Michele Gismundo