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Città e Territorio
Gravina in Puglia: "Piazza Notar Domenico"
Nacque a Gravina intorno al 1310. Di lui ci resta un'importante cronaca del suo periodo (1333-1350), con episodi relativi alla città di Gravina e di Napoli. In gioventù seguì gli studi giuridici e del notariato a Napoli; ritornato a Gravina vi esercitò la professione, anche se non sono arrivati a noi, atti da lui rogati. Nel 1345, a Gravina fu tra i capi della fazione ungherese che vendicava l'uccisione di re Andre da Ungheria. L'arrivo del conte Roberto Sanseverino di Corigliano indusse i partigiani ungheresi a fuggire ed anche lui abbandonò la città. Visse in esilio a Bitonto dove ricevette dal re d'Ungheria alcuni beni in cambio dei beni perduti a Gravina. E' il primo personaggio della letteratura gravinese. Cronista del XIV secolo nel suo Chronicon de rebus in Apulia gestis racconta l'azione da lui svolta nelle vicende che coinvolsero Gravina negli anni successivi alla morte del duca Andrea d'Ungheria. Domenico nacque a Gravina nei primi decenni del secolo XIV e visse nella casa paterna in via delle beccherie, oggi via Marconi. La sua doveva essere una famiglia nobile e, comunque, di ceto elevato, come dimostra, tra l'altro, l'appellativo di dominus, utilizzato in riferimento al fratello Guglielmo. Dalla cronaca non ci proviene alcuna notizia del padre, forse perché già morto al tempo della narrazione e dello svolgimento delle vicende; della madre, ancora in vita, non dà il nome. Si ricava che ebbe una sorella di nome Maria e un fratello di nome Guglielmo. Il cronista si sposò, molto probabilmente, nel 1341 con una donna di cui nulla si conosce: nome di battesimo e nome della famiglia di provenienza. Padre di quattro figli, Gregorio, Nicola, Boliarina e Filippo, esercitò la professione di notaio, attività che dovette interrompere nel 1345 dopo l'uccisione del duca Andrea. Da questo momento Domenico prese parte attiva alla vita politica della sua città, parteggiando per gli Ungheresi. Dopo essersi allontanato da Gravina nel 1349, fu costretto a vivere in esilio a Bitonto. Le vicende narrate nel Chronicon si riferiscono agli avvenimenti accaduti nel Regno di Napoli dal 1333 al 1350. Questi avvenimenti non sono presentati in ordine cronologico, ma "disposti organicamente secondo l'ordine della materia e l'economia dell'esposizione". La cronaca è acefala e priva anche della parte finale. Scritta a varie riprese, le notizie riportate sono frutto, non solo di quanto Domenico aveva fatto e visto, ma anche di quanto da altri aveva appreso. Poiché sono utilizzati ora tempi storici, ora il presente, si deve supporre che la cronaca sia stata scritta dopo lo svolgimento dei fatti narrati e in un periodo in cui egli era lontano dai luoghi dove si svolsero. Del Chronicon, scritto verso la metà del secolo XIV, si conosce un solo codice, manoscritto, conservato nella Biblioteca Imperiale di Vienna con la segnatura 3465. La cronaca inizia con il matrimonio di Andrea e di Giovanna, ai quali il re Roberto concesse il ducato di Calabria. Il matrimonio non fu molto fortunato, in quanto Andrea venne barbaramente strangolato. Domenico, accusato di complicità in questo assassinio, riuscì a dimostrare la sua estraneità, servendo fedelmente il re di Ungheria, venuto in Italia per vendicare la morte del fratello. Nel 1349, poiché con una grande armata Roberto da San Severino e il conte di Tricarico marciavano verso Gravina con l'intento di assediarla, Angelo Gualtieri di Gravina mandò Notar Domenico dal voivoda Stefano di Lomith, residente allora in Barletta, a chiedere di intervenire con sollecitudine. Ritardando l'aiuto del voivoda e convinto della resa della sua città, Notar Domenico si allontanò da Gravina, dirigendosi verso Corato con Angelo Gualtieri e il giudice Nicolò. Alla notizia della fuga, i nemici assalirono la sua casa, saccheggiandola. Gravina, che si era sottomessa al dominio degli ungheresi per ordine del voivoda, tornava alla duchessa di Durazzo. La vittoria del voivoda ad Aversa indusse i fuorusciti gravinesi, tra cui anche il nostro cronista, ad allontanarsi dalla città di Monte Sant'Angelo, dove si erano rifugiati, con una comitiva di ungheresi e a dirigersi verso Gravina. Si fermarono la notte presso il fonte di Coluni, a due miglia dalla città, ma scoperti furono costretti a fuggire. Senza perdersi d'animo si appostarono nella chiesa di S. Andrea della Guardia, "in cacumine Petrae Magnae" (sulla cima di "Pietra Magna"), riuscendo ad entrare in città. Di qui, dopo aver assalito il vescovo Giovanni de Gallinario (confessore della regina Giovanna) nella sua dimora, Angelo Gualtieri costrinse lo stesso a giurare fedeltà al re d'Ungheria. Scoppiato un incendio presso la porta del vecchio castello, temendo un'imboscata, Gualtieri ordinò la fuga. Ritrovatisi tutti nel luogo detto di Santo Stefano, furono costretti a ritirarsi. Notar Domenico cercò successivamente di ritornare nella sua città, ma tutti i tentativi furono inutili; allora, sconfitto e deluso, si rassegnò a vivere in esilio a Bitonto. Ricevette dal re di Ungheria alcune proprietà, come ricompensa dei beni perduti a Gravina e per la fedeltà dimostratagli. Da questo momento non si fa più menzione di Gravina e del protagonista. La cronaca si ferma nel momento in cui, dopo la conquista di castelli in Puglia e di Bari e la sottomissione di città in Lucania, il re d'Ungheria giunse a Salerno per preparare l'ultimo e definitivo attacco alla città di Aversa. Secondo Ludovico Antonio Muratori (secolo XVIII) l'opera di Notar Domenico poneva sott'occhio, anche se talvolta con minuzie e particolari poco importanti ("levia interdum et minutiora"), i fatti a cui il celebre gravinese aveva personalmente partecipato, come nessuno aveva mai fatto prima di lui. Lo ritiene tanto degno da collocarlo nella sua opera "Rerum italicarum scriptores".