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Città e Territorio
A Gravina in Puglia di calderai, "callaroir" o "stagnoir", ce n'erano parecchi. La produzione in rame interessava maggiormente arnesi da cucina: "la calloir", " u scola past", "la sartascjn", "la frascioir", "la rasaul du tav'lier", ecc. Alcuni di questi oggetti venivano rifiniti in stagno, per evitare che si arrugginissero nel tempo. Il calderaio, era l'artigiano che fabbricava e riparava caldaie e pentole. C'era a Gravina un bravo calderaio, "Mest Giuan u callaroir", (alias Giovanni Antico). Raccontano gli anziani che "Mest Giuan" era un artigiano affabile, competente. Calderai e ramai infatti erano tutti valentissimi da noi. Un mestiere molto antico. Inventato, forse, con la scoperta stessa dei metalli e con il loro utilizzo nella vita quotidiana. Era un mestiere che necessitava, oltre che di una buona forza fisica, anche di molta pazienza, infatti la buona riuscita di un oggetto di rame dipendeva essenzialmente da come era stato lavorato, compresa l'attaccatura dei manici. Il calderaio, mentre lavorava, faceva molto rumore, rumore assordante e continuo, prodotto dalla battitura del martello sul foglio di rame. Infatti molte botteghe di calderai erano concentrate in luoghi ben distanti dalle abitazioni. Questi artigiani si guadagnavano da mangiare adoperando strumenti necessari a riparare pentole in rame e il loro lavoro era particolarmente apprezzato perché, in passato, le stoviglie accompagnavano una famiglia per tutto il periodo della sua esistenza. Entrando nelle botteghe dei calderai ciò che colpisce di più è il grande numero di martelli che in esse si conservano, mentre il rame veniva acquistato sotto forma di foglio, da qui con l'utilizzo di veri e propri martelli fuori dal comune, per la loro forma, gli artigiani ricavavano magnifici manufatti. Il calderaio o ramaio esponeva i propri lavori anche in fiere e mercati, dal più grande al più piccolo e, con una bella lucidatura acquistavano la coloritura ramata. Era prezioso il mestiere del calderaio "u callaroir", perchè realizzava oggetti indispensabili alla vita quotidiana e aveva cura di ricoprire internamente i recipienti di rame con uno strato di stagno per evitare che si ossidassero, rendendo tossiche le pietanze. Questi oggetti lavorati dal calderaio venivano appesi in cucina, a bella vista. Si appendevano ai chiodi di un telaio rettangolare di tavola appeso alla parete. Oggi quei vecchi recipienti sono stati sostituiti dalle pentole di acciaio inossidabile. D'inverno questi artigiani lavoravano all'interno della bottega. Ma, appena arrivava la primavera, con il primo sole caldo, uscivano fuori con la fornace per lavorare. A volte succedeva che una caldaia si sfondava o si ammaccava in più punti sia per qualche caduta che per il troppo uso. I calderai intervenivano per rimetterla a nuovo. Se era rotta ci voleva una "pezza" che ricavavano da una caldaia vecchia o in disuso e che, con i chiodini, applicavano dalla parte esterna. Per sagomarla, poi, la mettevano sulla fiamma dei carboni accesi nella fornace, la giravano e rigiravano finché la parte da riparare era arroventata al punto da poter essere lavorata comodamente, essendo la lamiera divenuta docile. Le pentole vecchie erano nere di fuliggine e i calderai, di conseguenza, non potevano non sporcarsi le mani e con esse il naso, la fronte e il fazzoletto. C'erano famiglie numerose che, per evitare la rottura del piatto in terracotta e le ripetute riparazioni, usavano il piatto di rame di grandi dimensioni, dove genitori e figli, seduti attorno al tavolo (lungo e stretto), mangiavano tutti insieme. Lo stagnino riparava non solo le pentole d'uso quotidiano, ma anche grossi recipienti alti quasi mezzo metro dentro cui i pastori scaldavano il latte per fare ricotta, mozzarelle, caciocavalli, ecc. E questo lavoro spesso veniva eseguito a domicilio", cioè direttamente nelle masserie dove si produceva latte e suoi derivati. Bei ricordi. Ricordi d'altri tempi, che ci aiutano a riflettere sulla fatica dei nostri antenati. Certo i nostri antenati avevano il senso del sacrifico. Per un futuro migliore da tramandare ai propri figli.
Michele Gismundo
La produzione del calderaio