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Città e Territorio
Sul sommo di una piccola collina, dominante la cittadina e l'ampia distesa dei campi, sorgono i ruderi del castello che Federico II fece costruire da Fuccio, architetto e scultore fiorentino al suo seguito. Più che un castello vero e proprio fu un robusto parco per l’uccellaggione tutto in mazzaro, con torri e sale sotterranee, ammirevole per la perfezione raggiunta nella disposizione dei conci e dei cunei degli archi. A pianta rettangolare, comprendeva due piani di cui restano parte dei muri perimetrali e del basamento. Il corpo di fabbrica si estendeva per tre lati del rettangolo e aveva, nel mezzo, una corte pure rettangolare. L'interno testimonia ancora chiaramente la divisione tra pianterreno e ammezzato, illuminato da finestre circolari e da occhi a saettiera, e il primo piano, illuminato da finestroni rettangolari ad archi a tutto sesto. Delle sale a pianterreno, coperte da volte, si scorgono gli incavi delle spalle e i resti delle arcate pensili dei muri trasversali.
Il federiciano maniero di Gravina, misurava esternamente e nel suo corpo centrale, senza tener conto delle quattro torri che pure lo fiancheggiassero, una lunghezza di m. 58,50 per 29 di larghezza. Diviso in tre ripiani, compreso l'ammezzato, aveva nella facciata rivolta a levante il portone di ingresso munito di portale di pietra scolpita, sormontato dall'insegna Sveva. Sul vano del portone si elevava una torre che troneggiava su tutto l'edificio, il quale doveva essere coronato da una terrazza probabilmente circoscritta da mura merlate. Le sale dell'appartamento nobile erano illuminate da finestre bifore, ornate di pietra gentile intagliata, come si può ancora rilevare da qualche residuo. Entrando si trovava un ampio cortile in parte coperto ed in parte scoperto, con in fondo un porticato fatto ad archi voltati su pilastri anch'essi di pietra gentile. Su questo porticato si apriva dalla parte del cortile una loggia, e nel cortile si aprivano le porte di accesso dei locali a pianterreno: scuderia, forno, magazzini, cellari, lavandaio, cucina, tinello, etc... nonché l'ingresso alla scala regia che giocava nelle facciata laterale di sinistra. Salendo per questa si accedeva all'ammezzato adibito in parte a falconeria ed in parte ad alloggi per il personale di servizio. Continuando a salire per la stessa scalinata si raggiungeva il piano nobile entrando per una gran sala situata nel centro della facciata di ponente. Questa era circondata da vari ambienti che, da ambo i lati, si congiungevano al disopra dell'ammezzato con la torre che sorgeva nella facciata di levante e nel cui corpo c'era una cappella dedicata a Santa Caterina. Dalla terrazza e dalle finestre, che si aprivano nella facciata opposta a quella della torre, si dominava tutto il vallone della Gravina e si avvistavano i monti Calabro-Lucani e le Murge. Tutto il castello era custodito da un apposito castellano, da armigeri e falconieri, ed era fornito di un approvigionamento di armi e vettovaglie. In questa dimora pare che l'imperatore sia venuto a soggiornare oltre che nel 1227, ancora nel 1234 e nel 1241 come si rileva da altri documenti da lui firmati in Gravina.
Da un antico manoscritto esistente nella locale biblioteca Finya risulterebbe che la nostra città fosse stata chiamata dallo stesso Imperatore "Giardino di delizie". Questo attributo potrebbe oggi sembrare oggi esagereto, ma allora ben giustificato, ove si pensi che Gravina in quel tempo si distingueva più che mai dalle altre terre di Puglia sia per i numerosi e vasti boschi tutti popolati di armenti e ricchi di selvaggina, sia per le sue pittoresche colline quasi tutte rivestite di pampini e di ulivi; sia per la fertilità del suo territorio, e sia per l'esistenza di un lago artificiale posto nelle vicinanze dell'abitato. Questo, allora assai ben tenuto, era della superficie di 4 km quadrati e occupava tutta la zona detta "La Pescara". Era pieno di trote ed anguille e veniva sfruttato oltre che per la pesca, per il funzionamento di un mulino costruito al disotto della diga (che, situata all'inizio del burrone la "Gravina", tratteneva nell'ampia vallata tutte le acque piovane scendenti dalle Murge e dagli altri circostanti colli) e anche per l'allevamento dei bufali, che formava un'altro cespite d'industria. A breve distanza da quel lago e dal castello, sulle opposte alture di "Guardialto", esisteva la vasta e pineggiante distesa boschiva chiamata "Selva o Foresta".
Riferimenti bibliografici:
Domenico Nardone, Notizie storiche sulla città di Gravina, ed. IV, 2003, Adda editore.
Giuseppe Lucatuorto, Gravina, ed. Centro librario di Bari, 1966.