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Politica e cultura
Addio Pino Santulli, parleranno le tue stupende opere pittoriche
Il prof. Pino Santulli è deceduto il 24 luglio 2017. Lascia la moglie Laura Scavo e i figli Antonio e Dario.
Giuseppe figlio di Antonio, figlio di Alessio, figlio di Antonio, figlio ... così di generazione in generazione, è questa la memoria storica di Santulli. Figlio di una Murgia aspra, in cui affondano le radici della propria famiglia. Un filo ombelicale che lo nutre e che lo lega in modo indissolubile. Questa condizione diventa il terreno fertile per la sua immaginazione, tutta protesa nel tentativo, altrettanto atavico, di riscoperta di quei codici espressivi primordiali. Avvicinarsi al mondo artistico di Santulli per conoscere il mondo che lo circonda, la sua famiglia, i tanti personaggi che affollano il suo studio, il suo paese, la sua cultura. La sfortuna/fortuna del suo nascere legato, avvincolato alla propria terra. Quello che nel passato era un vanto, l'orgoglio di essere cittadino di Gravina, dell'antica città romana di Silvium, della città della civiltà rupestre, di un "paesaggio culturale" testimonianza di una grandiosa civiltà scomparsa, patrimonio dell'umanità, in cui il rapporto con l'ambiente era mirato alla creazione di un ecosistema, oggi non lo è più. Il vivere in un paese diventato paesone, in un luogo in cui si è perso il senso di appartenenza ai luoghi. Quell'antico rapporto con la terra si è dissolto, il paese ha perso la propria storia e vaga inseguendo modelli estranei, televisivi. Un paese divenuto cieco verso il grande patrimonio espressivo della sua gente che si lascia scorrere in infiniti rivoli. Questa condizione di apatia provoca in Santulli sofferenza. Con caparbietà e testardaggine continua la propria ricerca, coltiva la propria passione, giustifica il proprio essere al mondo. Tutto questo si materializza nel suo volto, classico, memore di antiche civiltà orientali che hanno lasciato tracce del loro passaggio in questa terra di conquiste. Forse Santulli si sente il continuatore di altro illustre Santulli Francesco di Gravina, pittore nato nel 1676 e allievo di Angelo Solimena, lontano parente? Forse non lo sapremo mai. Come un artigiano quotidianamente affronta il lavoro pittorico, con ritmi e cadenze severe. Dedica a questa operazione le migliori energie, non risparmia a nessun dettaglio quella cura affettuosa e precisa, attenta e lucida.
Ogni opera è la testimonianza del suo spendersi totalmente per essa. I disegni, le trame pittoriche, le intensità cromatiche non evocano "altro" ma rappresentano se stesse, questo divenire che pervade la tela, la occupa. Il soggetto diviene un pretesto, una "necessità" non necessaria per esprimersi. I temi presi dal repertorio classico della pittura: nature morte, paesaggi, bagnanti, esprimono il vuoto della condizione attuale dell'operare artistico.
E' consapevole della irrefrenabile e violenta pioggia di immagini reali e virtuali che inondano gli occhi dell'uomo e cerca con una pittura che ha modi classici, sia nei soggetti che nelle composizioni cromatiche, di esorcizzare l'umanità. Opere pittoriche che annullando il racconto, l'episodio, la trama, non parlano che di se stesse. Come delle frasi di una moderna Cassandra i quadri di Santulli invocano un'attenzione, un raccoglimento con stessi che il mondo contemporaneo ha annullato. Questi corpi di bagnanti, queste nature morte, questi paesaggi non parlano dei corpi, degli oggetti, dei paesaggi, ma del desiderio irrefrenabile di fare pittura, il colore diventa l'elemento predominante, l'unico che domina la scena del quadro. I campi di grano, i limoni, sono unicamente tutte le possibili gradazioni di giallo che potranno rapportarsi con i rossi delle mele grane e di tanti altri artifici simbolici. I suoi stati d'animo trovano momenti di grande forza e volontà espressiva nelle opere grandiose delle bagnanti e momenti più privati, appartenenti ad un proprio studiolo, in cui la composizione diviene minuta elementare, assoluta. E' sempre presente una composizione forte, equilibrata, formata da pochi e chiari elementi riconoscibili. Non ci sono mai nella sua pittura tentativi di mistificazione, quanto piuttosto volontà chiarificatrici, soprattutto per se stesso, con una pittura lenta che invoca attenzione, una tregua nell'ansia contemporanea. Il soggetto senza fraintendimenti con la sua chiarezza rinvia a cercare "il corpo" dell'opera altrove. Qual'è il "corpo" se non l'idea di una pittura che trova identità nel farsi pittura, nel ripetere quel gesto primordiale di graffiare la caverna, quel gesto dell'affrescare le caverne dei monaci basiliani a Gravina. Santulli pittore, come uno stregone, un santone che avverte la necessità di comunicare per esorcizzare la realtà. Non riduce il fare pittura alla sola azione, come in Pollock, ma propone, operando sullo stesso terreno della pittura tradizionale, un logoramento dall'interno, annullando significati e significanti. Bisogna guardare le sue "mucche a riposo" e farsi inondare gli occhi da quel giallo dorato magmatico che awolge tutto, le sue "masserie" e i suoi "paesaggi con masserie" per sentire quale forza espressiva è insita nel fare pittorico, nella riduzione del soggetto ad un mero pretesto per parlare di pittura, di colore, di emozioni. Santulli non ama parlare della sua pittura, schivo nella conversazione, preferisce che le sue opere parlino così come continuano a raccontarci i resti dell'antica civiltà che abitava Botromagno e gli affreschi rupestri dei monaci basiliani. Ad un mondo contemporaneo dominato dal rumore egli contrappone il silenzio, alla corsa sfrenata del progresso la calma del dipingere quotidiano. Una grande lezione di stile.
Arch. Giovanni Lorusso